«Italia? Gestione fantozziana»


Telefono appeso all’Italia? «Ranieri ha fatto benissimo»
«Buffon in nazionale mi sembra sia utile quanto Ibrahimovic al Milan».
Telefono appeso all’Italia? «Ranieri ha fatto benissimo»
«Buffon in nazionale mi sembra sia utile quanto Ibrahimovic al Milan».
ROMA - Una batosta dalla Norvegia e una da Ranieri. L’Italia, intesa come nazionale e FIGC, ha vissuto una delle settimane più complicate della sua intera storia. Ha fallito sul campo, facendo una figuraccia a Oslo e una non troppo migliore a Reggio Emilia contro la Moldova, e ha fallito pure a livello umano e amministrativo. Come? Ha licenziato un allenatore ma poi gli ha permesso di sedersi ancora in panchina, ha puntato forte su un candidato (Claudio Ranieri) salvo poi vedersi recapitare il classico due di picche… Un disastro insomma.
«Sono sconcertato per quanto si è visto negli ultimi giorni - è intervenuto Arno Rossini - nella vicina Penisola stanno gestendo il pallone in modo fantozziano».
Da dove si parte?
«Cominciamo dall’esonero del selezionatore. Vista la situazione, forse era inevitabile. Bene, ma scelte e tempistiche sono state pessime. Che senso ha licenziare Spalletti ma tenerlo ancora per una partita? Sinceramente in tanti anni di calcio una cosa del genere non l’avevo mai vista. Si è sfiorato il ridicolo».
Continuiamo a parlare di selezionatori: Ranieri ha gentilmente rifiutato la panchina.
«Ha fatto benissimo. Perché macchiare una bella carriera e rendere complicata la sua nuova avventura con la Roma salendo su una barca piena di buchi? La FIGC non ha e non dà certezze, solo problemi: logico che i professionisti veri, potendo, la evitino… Il mestiere del selezionatore è particolare. È vero che scegli tu i giocatori da chiamare, ma poi non li alleni. In tre giorni come puoi pensare di farlo? Più che un tattico devi dunque essere un comunicatore. E ultimamente mi sembra che, in azzurro, questa figura un po’ manchi».
A fare da raccordo tra mister e squadra c’è il team manager.
«Buffon in nazionale mi sembra sia utile quanto Ibrahimovic al Milan».
Cerchiamo di fare ordine: qual è il problema e come se ne può uscire?
«Si dice che di talenti, in Italia, non ce ne siano. Può essere che la generazione attuale sia meno ricca di quelle passate, certo, ma questo non fa improvvisamente della nazionale azzurra una squadretta. Non sarà al livello di Francia, Spagna, Germania o Inghilterra, bene, ma non è concepibile che si faccia travolgere dalla Norvegia e faccia tantissima fatica contro la Moldova. Come non è concepibile che durante lo scorso Europeo si sia fatta demolire dalla nostra Svizzera. Manca la qualità, ma il problema sta nel manico. Nella Federazione. Che almeno da vent’anni sta facendo pasticci».
I conti non tornano, nel 2021 Donnarumma e compagni hanno vinto l’Europeo.
«Giocando bene, tra l’altro. Vista l’assenza ai Mondiali 2018 e 2022 ma anche i risultati mediocri a quelli del 2010 e 2014, temo che quel successo debba tuttavia considerarsi un caso. E non sono sicuro che per il movimento azzurro quel trionfo sia stato un bene».
Dirigenti colpevoli, ma i dirigenti non giocano.
«Ma non stanno facendo nulla affinché in campo vadano i migliori. L’Italia ha un bacino d’utenza importante, molto più grande del nostro, di quello della Norvegia, ma anche di Danimarca e Olanda, giusto per citare qualche nazione. Il fatto che in Serie A ci siano tanti stranieri è un problema, è vero, ma anche quel 30% di azzurri regolarmente in campo dovrebbe garantire una buona base. Senza pensare alla Serie B o alla Serie C, dove di talenti sicuramente ce ne sono. Il problema sta a monte. Nella formazione. Vi faccio un esempio. La Francia scova i giovani e poi li fa crescere nei centri federali. I ragazzi si allenano, migliorano, in queste strutture per tutta la settimana per poi andare a giocare nei rispettivi club nel weekend. Giusto? Sbagliato? Così facendo ogni potenziale talento viene visionato e direi che, visti i calciatori usciti da quella scuola negli ultimi trent’anni, questa soluzione è efficace. In Italia tutto questo non c’è. Non si investe sulla formazione e quelli che comunque sbocciano faticano a trovare una squadra che li impieghi con continuità. Così è dura».
Per ripartire servirebbe una rivoluzione.
«Che comunque non potrebbe dare risultati immediati: serve pazienza, servono almeno 3-5 anni. E il guaio sta proprio qui: ci vogliono dirigenti lungimiranti, in grado di sopportare un presente difficile per poi avere un futuro luminoso. Dirigenti impegnati a lavorare per il bene del movimento. Mi pare invece che in Italia la maggior parte degli “eletti” pensi prima di tutto al proprio tornaconto».