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SARA ROSSINI

Andrà tutto bene… o forse no

Sara Rossini – fondatrice Fill-Up apprentice
Sara Rossini
Andrà tutto bene… o forse no
Sara Rossini – fondatrice Fill-Up apprentice

Qualche anno fa – non mille – ci siamo fermati. Bloccati da una pandemia che ci ha imposto uno stop globale. E mentre cercavamo di capire cosa stesse succedendo, il motto che ci ha accompagnati ovunque era sempre lo stesso: “andrà tutto bene”.

Per certi versi è stato anche vero: quello stop ci ha fatto rallentare, pensare, guardare la vita da un’altra prospettiva. Ci ha ricordato che non siamo macchine e che la routine non è l’unica strada possibile.

Per i giovani, però, è andata diversamente. Per molti di loro quello stop ha tolto più di quanto abbia dato: socialità, apprendimenti scolastici, allenamento mentale, strumenti per affrontare il mondo del lavoro. E oggi, a distanza di pochi anni, vediamo tutte le conseguenze: lacune, insicurezze, difficoltà reali.

Eppure, nonostante questo, quasi nessuno sembra disposto a fare un passo indietro per aiutarli davvero. Siamo passati dall’iper-protezione al “non è un problema mio” in tempo record.

Nel frattempo, qualcosa nella società è cambiato, e non in meglio:

    • è salita la frustrazione.
    • è diminuita la soddisfazione nel lavoro e nella vita.
    • è esplosa un’invidia sotterranea che trasforma chi riesce – o semplicemente la pensa diversamente – in un bersaglio, alimentando quel piacere nascosto che alcuni provano quando gli altri inciampano.

È come se fossimo entrati tutti in una gara verso il nulla, una corsa a rendere la vita più complicata di quanto già non sia. E quando questo atteggiamento lo si scarica sui giovani, è ancora più triste: perché sulla scala gerarchica della vita sono sempre gli ultimi. Quelli con meno potere, meno voce, meno difese.

Quello che mi indigna di più, però, non è questo. È l’accettazione consapevole degli adulti. Il “so che è sbagliato, ma va bene lo stesso”. Ma accettare significa essere parte del problema: parte di un sistema che si crede modello, ma che sta costruendo – tassello dopo tassello – un futuro che modello non sarà affatto. Un sistema che pensa di poter sacrificare i giovani senza pagarne il prezzo.

Peccato che quel prezzo lo pagheremo tutti. Anche i loro figli, che qualcuno illusoriamente pensa siano immuni.

E allora mi chiedo: come può una persona accettare un sistema che sa essere sbagliato?

Un sistema che premia chi non merita, che vive di compromessi al ribasso, che tollera ruoli chiave senza le competenze necessarie, che ha perso i valori di base… e poi si scandalizza davanti alle statistiche sui giovani?

La risposta è semplice: ipocrisia.

E di ipocrisia, anche nel mondo della formazione, ne abbiamo già a sufficienza. Educare dovrebbe essere un atto di responsabilità, non un copione recitato per giustificare il proprio posto o per produrre statistiche da presentare.

Il mio desiderio per Natale? Che nel 2026 siano finalmente le coscienze – non gli alibi - a parlare. Che si smetta di ripetere “va tutto bene” mentre, nell’indifferenza generale, il futuro dei giovani – e non solo - si assottiglia. Che ci entri in testa, una volta per tutte, che il mondo che stiamo accettando oggi, sarà esattamente quello in cui loro – e noi - dovremo vivere domani.

E lo dico da adulta senza figli: in teoria potrei anche far finta di niente. Ma non ci riesco. Perché il futuro che stiamo costruendo non chiederà a nessuno se ha figli o meno: ci toccherà tutti, senza sconti.

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