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Con la pistola sempre sul tavolo, è la lingua di Trump

Ruvido e aggressivo, il neo presidente degli Stati Uniti usa ancora toni da campagna elettorale. Ma perché un leader "cattivo" piace tanto?
AFP
Con la pistola sempre sul tavolo, è la lingua di Trump
Ruvido e aggressivo, il neo presidente degli Stati Uniti usa ancora toni da campagna elettorale. Ma perché un leader "cattivo" piace tanto?
Facciamo il punto con Alberto Bitonti, docente di Comunicazione politica all'Università della Svizzera italiana.

WASHINGTON - Le pretese sul canale di Panama. Il Messico e il suo golfo. Le mire espansionistiche che guardano a Canada e Groenlandia, per cucire sulla bandiera un altro paio di stelline. Fino al "piano" annunciato per Gaza; quello che il direttore del New Yorker, David Remnick, ha definito «la follia di Donald Trump», con quel sapore nemmeno troppo vago di «pulizia etnica». La dialettica aggressiva del neo presidente statunitense non è una novità, ma ha subito un'ulteriore impennata dal suo ritorno nello Studio Ovale. Non è solo quello che dice. È come lo dice.

Una situazione nuova
Ma, in termini di pura retorica politica, si può dire che Donald Trump stia "scrivendo" una pagina più o meno inedita? «Più che nel linguaggio, la novità è nel contesto politico», osserva Alberto Bitonti, docente di Comunicazione politica all'Università della Svizzera italiana. «A volte in campagna elettorale si usano toni molto forti. Si tende a polarizzare l'elettorato, per richiamare i propri elettori; poi, una volta al governo, anche i leader più radicali tendono a moderarsi. Perché, una volta vinte le elezioni, di fronte alle responsabilità di governo, si tende a cercare posizioni più equilibrate. E c'è anche un apparato statale che modera le istanze più estreme».

«Trump sta mantenendo toni forti almeno quanto quelli della campagna elettorale. E sta cercando pure di smontare alcuni dei contro-poteri del sistema democratico degli Stati Uniti». A essere inedita quindi è la situazione di avere «un leader così radicale che si ritrova a essere alla guida di uno dei paesi più potenti del mondo e le cui decisioni hanno quindi un peso per il resto del mondo. Questo è sicuramente qualcosa di nuovo».

Perché il "cattivo" piace?
E di nuovo, rispetto al passato, c'è anche "l'abito" indossato dal tycoon. Perché anche i leader autoritari in genere cercano di apparire come buoni di fronte al popolo. Trump invece non se ne cura. Attacca senza pensarci due volte e "negozia" come se avesse sempre la pistola sul tavolo. Ma perché un leader che fa il cattivo piace cosi tanto? «È una dinamica tipica della polarizzazione. Nel momento in cui io attacco a testa bassa i miei avversari, rafforzo l'identità del gruppo che mi sostiene. Anche in passato, leader autoritari - anche democratici - hanno usato l'arma del "nemico del popolo". Ovvero identificare nemici contro cui scagliarsi. È una vecchia tecnica per rendere più coeso il gruppo che sostiene il leader», spiega Bitonti.

Il fatto di essere "cattivo" scivola così sullo sfondo, mentre il nemico resta in primo piano. «È il problema della polarizzazione eccessiva, che oggi vive una nuova stagione con leader come Trump. Perché se da una parte una certa polarizzazione in politica è normale, quando questa si fa più radicale tende invece a creare divisioni che non sono solo politiche ma finiscono per riversarsi anche nel campo sociale». Ed è così che l'avversario politico diventa un nemico. Una situazione che viene poi amplificata dal «contesto di oggi, con l'infosfera attuale, fatta di social media che tendono a premiare questi comportamenti divisivi; con il rischio di diffusione di fake news e di disinformazione molto più veloce rispetto al passato». Quindi, sintetizza Bitonti, «dinamica antica, contesto nuovo».

Infine, diamo uno sguardo allo scontro politico. Come si affronta, come si replica e come ci si difende da chi fa ricorso a una dialettica tanto ruvida (soprattutto quando a usarla non è un leader qualsiasi ma è il presidente degli Stati Uniti)? «È un problema complesso. Uno dei modi su cui diversi pensatori hanno insistito è quello di sottolineare ciò che accomuna rispetto a ciò che divide. Negli Stati Uniti, Obama ha avuto molto spesso questo tipo di retorica. Quindi, il cercare il topos dell'unità. Quello che ci caratterizza. Come americani, come europei, come cittadini di uno stesso paese. Anche se questo non è facile».

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