Simboli DDR, il passato che tormenta la Germania

Proposta in Germania: la proibizione dei simboli dell’ex DDR. Paese unito, sentimenti condivisi?
BERLINO - Prima d’ora in Germania se n’era già discusso, ma mai era stata lanciata una contropetizione su Change.org per impedire il divieto [1]. L’iniziativa è stata rinnovata dal direttore del museo, a Berlino Est, che un tempo fungeva da prigione per i dissidenti politici dello stato dittatoriale: si tratta di proibire la simbologia dell’ex DDR [2].
Il passato tormentato della Germania è un’ombra che pesa ancora sulla coscienza dei tedeschi, compreso chi negli avvenimenti non ha avuto parte attiva o, come me, ne ha solo letto nei libri di storia. Probabilmente anche per questo motivo i germanici sono riservati e parlano malvolentieri del loro passato. Abito a Berlino da cinque anni, e un po’ la sento come una città adottiva; eppure fatico a capire come qui, fino a pochi decenni fa, chi non rientrava in una certa ideologia – che sia fascista o comunista – veniva sorvegliato, represso, torturato, ucciso.
Non sono ormai rimaste molte persone a poter raccontare di prima persona dei tempi del nazismo, mentre sono molte quelle che – soprattutto a Berlino – hanno vissuto sotto il regime della DDR e assistito alla caduta del muro. A chi ha voglia di parlarne, a chi era grande abbastanza per capire gli avvenimenti o giovane abbastanza per essere oggi ancora in vita, chiedo di raccontarmi il loro vissuto.
I miei coetanei erano bambini al momento della caduta del muro. Un collega, cresciuto ai confini con la Polonia, mi ha raccontato come la vita è rimasta pressoché invariata per circa un decennio. Nel suo piccolo paese il cambiamento è stato quasi impercettibile, se non che dall’oggi al domani al supermercato erano disponibili merci importate (per esempio banane e ananas, che non aveva mai mangiato prima) e che a scuola al posto del russo, materia obbligatoria durante la "dittatura" comunista, fu introdotto l’inglese. Il processo di trasformazione, soprattutto nelle province, è stato lento.
E questo è un fascino indubbio della riunificazione Germanica: il cambiamento è stato graduale, democratico, senza atti di estremismo e senza quegli spargimenti di sangue che spesso hanno accompagnato un cambio di potere durante il secolo scorso. Proprio per questo la fine della DDR è anche chiamata la Rivoluzione Pacifica.
Con la caduta del muro i miglioramenti per la gente sono stati indubbi, in termine di libertà di informazione ed opinione, mobilità sociale e geografica, indipendenza, pluralità di pensiero ed educazione. Ma il passato getta ombre lunghe, e non sempre il trauma viene elaborato.
Esistono ancora oggi, ad esempio, differenze salariali tra dipendenti statali (docenti, impiegati, funzionari) della Germania dell’Ovest e dell’ex DDR. (La remunerazione in quest’ultima è minore.) Oppure ancora: nelle scorse elezioni federali il partito Die Linke (cui molti esponenti erano attivi nel partito unico della DDR) ha ottenuto circa il nove per cento assoluto, mentre nei territori dell’Est ha raggiunto fino ad oltre il 30 per cento dei voti. Soprattutto persone anziane hanno appoggiato il partito, non in uno slancio malinconico quanto in seguito alla precarietà finanziaria che nel sistema politico attuale colpisce i pensionati. Questo fa pensare se la Germania sia veramente unita, o se vi sia ancora un confine – non più fisico e ideologico quanto politico ed esistenziale – che separa il paese.
Come leggere allora la proposta di vietare la simbologia della DDR? Parate in uniforma militare DDR alla Porta di Brandeburgo, organizzate regolarmente da nostalgici sostenitori del regime, feriscono la sensibilità, la memoria e il senso comune. Ma non forse è una proibizione della simbologia della DDR contraria allo spirito della Rivoluzione Pacifica? In una democrazia matura e pluralista, ideologie discutibili dovrebbero poter essere tollerate. Sarebbe forse più importante capire e discutere apertamente il malcontento alla base. E per un’elaborazione del trauma, misure drastiche come dei divieti non sono certamente di aiuto. Basti pensare all’ombra del nazismo, così presente nella coscienza comune nonostante siano passati quasi 70 anni dalla fine della guerra e nonostante la proibizione, oltre naturalmente alla svastica, anche di abbreviazioni di reminiscenza fascista come SS, SA, NS, HJ – proibite tutt’oggi nelle targhe Germaniche. E la lista è lunga [3].
Proposta e controprogetto sono stati lanciati, e una decisione in merito non avverrà di sicuro dall’oggi al domani. Nel frattempo, consiglio a chiunque di passaggio a Berlino una visita all’ex prigione per dissidenti politici per conoscere meglio un periodo tragico della storia della Germania [4].




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