Al Conclave, "chi entra Papa, esce cardinale". Il proverbio si è tramutato in sentenza anche ieri. Voci e ipotesi attorno all'elezione di Leone XIV
CITTÀ DEL VATICANO - La saggezza dei proverbi che spesso ritorna. Si dice che chi entra in Conclave Papa, esce cardinale. Ed è proprio quello che è accaduto ieri a Pietro Parolin. Così come era successo nel marzo del 2013, quando il favorito per il "dopo Ratzinger" era il cardinale Angelo Scola, al tempo arcivescovo di Milano, poi superato da Jorge Mario Bergoglio.Il già Segretario di Stato vaticano, fedele "braccio destro" di Papa Francesco era considerato, durante l'interregno, come il grande favorito a succedergli al Soglio di Pietro. Molti si attendevano di vederlo affacciarsi da protagonista dalla Loggia di San Pietro, almeno fino a quando alla parola «Dominum», pronunciata dal cardinale protodiacono Mamberti, ha fatto seguito il nome di «Robertum Franciscum». A quel punto è stato chiaro per tutti: Parolin non è il nuovo Papa. Ma cosa è successo, quindi, dentro la Cappella Sistina?
Il Corriere della Sera oggi ha provato a ricostruire, tra spifferi di voci all'interno delle mura leonine e ipotesi, cosa abbia portato in cosi poche ore tanti voti a spostarsi da un cardinale all'altro. Il tutto con i guanti del condizionale e le pinze, soprattutto in merito ai numeri, perché si sa che sul Conclave vige il più assoluto segreto, pena la scomunica per chi tra i partecipanti dovesse riferirne all'esterno.
Fatta questa premessa, la situazione sul mezzogiorno di ieri, quindi dopo tre votazioni e due fumate nere, sarebbe stata quella di un Parolin in vantaggio di una decina di voti rispetto al cardinale Robert Francis Prevost. «Per sapere misure e quantità ci vorrà un po’ di tempo», scrive lo storico Alberto Melloni, autore dell'articolo. Poi, nel pomeriggio, il vento è cambiato e i voti si sono spostati sul candidato statunitense, poi eletto con il nome di Leone XIV. Voti ceduti da chi sosteneva Parolin? Voti ceduti da chi sperava in un nuovo vescovo di Roma proveniente da un luogo ancora più remoto rispetto alla Buenos Aires di Bergoglio? Tutto possibile, anche se difficile da decifrare in questo momento.
Parolin ha fatto un passo indietro?
Tra le ricostruzioni però c'è anche quella di un possibile passo indietro proprio del già Segretario di Stato, che vedendo una maggioranza di voti a suo favore ma non tale da garantire compattezza di fronte alle sfide future, fuori e dentro la Chiesa, avrebbe così optato per un passo indietro. Un «generoso» passo indietro - come riportato da un articolo a firma di Virginia Piccolillo - per dare un segnale importante, con i voti pilotati così su quel candidato che già più addetti ai lavori avevano segnalato come in ascesa.
Perché proprio Prevost?
Ma perché Prevost? Ci sono più fattori che potrebbero aver convinto i cardinali elettori a convergere sul suo nome. È una figura trasversale; che ha grande esperienza come missionario sul campo (in Perù), viene da una famiglia che rappresenta un piccolo melting pot culturale - lui, statunitense, con passaporto peruviano e origini italo-francesi e spagnole - e gli sono riconosciute importanti capacità di mediazione, di cui ha dato dimostrazione durante l'ultimo sinodo. Tutto questo, in un uomo, duplice laureato in matematica e in teologia e diritto canonico, che oltre a essere un seguace di Papa Francesco è altresì una persona capace di portarne avanti e realizzarne le riforme, ma in modo più pacato e con meno strappi.