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GUERRA COMMERCIALE

«Cinesi più pronti ad affrontare scenari "estremi"»

Secondo Dan Wang, ricercatore della Stanford University, il popolo cinese sarebbe più resiliente di quello americano.
afp
Fonte NY Mag
«Cinesi più pronti ad affrontare scenari "estremi"»
Secondo Dan Wang, ricercatore della Stanford University, il popolo cinese sarebbe più resiliente di quello americano.

NEW YORK/PECHINO - Prima ha aumentato al 125% i dazi sui prodotti importati dagli USA e poi ha annunciato una stretta sull'export di magneti e terre rare verso l'Occidente. La Cina dimostra fermezza e decisione nella rappresaglia alla guerra lanciata da Trump con la sua aliquota protezionistica sul "made in China" portata al 145%.

Un'escalation che sembra essere il preludio di una possibile rottura tra le due superpotenze - anche considerando l'eventuale accerchiamento cinese su Taiwan - ma che non spaventa Xi Jinping, nonostante l'attuale ridimensionamento forzato della vocazione di Pechino alle libere relazioni commerciali. Ne è convinto Dan Wang, ricercatore presso l'Hoover History Lab della Stanford University.

E se si attende una telefonata risolutoria tra i due leader, va detto che i cinesi non amano negoziare con Trump per la sua imprevedibilità e tendenza ad inasprire le negoziazioni. Lo sostiene l'esperto che al New York Magazine aggiunge che, tutto sommato, i dazi americani potrebbero aiutare Xi nel non doversi assumere troppe responsabilità circa le non buone previsioni di crescita per quest'anno, viste oggi al ribasso dagli analisti UBS (al 3.4% invece del 4% precedentemente stimato). Dunque, secondo Wang, le tariffe americane contro il "made in China" «in una certa misura causeranno un'ondata di nazionalismo in Cina», utile a nascondere lo stato di un'economia «piuttosto debole negli ultimi cinque anni».

Ma poi, la cosa interessante è quella che il ricercatore della Stanford University riferisce circa la resilienza cinese, carta vincente nel confronto con gli States e frutto della strategia di Xi, che negli anni ha plasmato i suoi concittadini attraverso «scenari "estremi" in tempo di Covid zero», puntando al contempo e da ormai dieci anni a «ridurre la dipendenza dell'economia cinese da molti prodotti occidentali», per raggiungere l'autosufficienza in fatto di «tecnologia, manufatti, cibo ed energia».

Ma ecco dunque la carta in più in mano a Xi. E cioè la «capacità di soffrire dei cinesi», temprati dalla storia del Paese e dalla propaganda. Se infatti l'America First di Trump prospetta un'età dell'oro nel lungo termine da scontare con inflazione e bassa crescita del breve, Pechino lancia invece un messaggio molto più duro, di sofferenza oggi e pure domani. Non è un caso che «negli ultimi giorni - aggiunge l'accademico - i portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino hanno pubblicato un video di Mao che dice: "Finché gli americani vorranno continuare a combattere in Corea, noi li affronteremo"».

Aria di rottura completa tra USA e Cina non più così impercettibile insomma. Eventualità quest'ultima che sì causerebbe a Pechino un problema in più, ma non certo una catastrofe, dato che «il valore delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti è pari a circa il 2% del PIL».

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