I fondi confiscati alle aziende svizzere all'estero? «Se li intasca la Confederazione»

«Oltre 20.000 società operano fuori da Europa e Nord America: una su cinque corrompe».
ZURIGO - In politica, dicono, può valere tutto. Anche rimangiarsi quello che è stato messo nero su bianco. Come quando nel 2001 - nelle comunicazioni riguardanti la nuova legge sulla ripartizione dei patrimoni confiscati alle aziende svizzere all'estero - il Consiglio federale vergava a chiare lettere che «i fondi sequestrati di origine criminale» che dovessero confluire nelle casse federali «possono essere considerati immorali».
Moralità e buone intenzioni che devono avere subito una specie di erosione al loro attaccamento se è vero - come scrive il Tages-Anzeiger - che la Svizzera continua invece a incassare i fondi requisiti alle aziende svizzere che sono state condannate per corruzione fuori dai confini nazionali.
E seppur vadano elogiati i tentativi della Confederazione di fronteggiare il fenomeno delle aziende elvetiche che si macchiano di questo genere di reati, è altrettanto vero che Berna resta la grande beneficiaria di questi denari. Perché la legge risalente a 24 anni fa, specificava anche che quei patrimoni avrebbero dovuto essere divisi con quei Paesi che collaboravano con la Svizzera nelle indagini, in una sorta di risarcimento per il danneggiamento provocato in quei territori dal reato. Reato spesso anche avente a che fare con riciclaggio o traffico di droga.
Un miliardo di franchi di profitti illeciti - Ebbene, quasi due decenni e mezzo dopo, quel fiume di denaro "immorale" finisce in gran parte «se non forse addirittura tutto» - è l'opinione del TAGI - «nelle casse federali». Il quotidiano zurighese, andando a spulciare tra le carte - ha scoperto ad esempio che «dal 2011 ci sono state 14 sentenze a livello federale che hanno obbligato le aziende a restituire complessivamente quasi un miliardo di franchi di profitti illeciti». Alle vittime delle azioni fraudolente che sono state messe in atto da soggetti societari svizzeri non andrà nemmeno il classico franco: «Resteranno a mani vuote» sentenzia il TAGI.
Per fare un esempio: uno dei settori più vulnerabili e dove si concentra maggiormente l'attività corruttiva è quello delle materie prime e l'ottenimento delle concessioni per le operazioni estrattive. Chi in un Paese estero corrompe un funzionario, danneggia le comunità imprenditoriali locali e la stessa popolazione, estromessi dalla ricaduta di utilità di cui avrebbero potuto beneficiare se non fossero stati tagliati fuori dai giochi per via di una mazzetta.
La Svizzera sotto i riflettori - La Svizzera «è particolarmente sotto i riflettori sulla questione della corruzione all’estero, visto che il settore delle materie prime, fortemente concentrato nel Paese, è particolarmente esposto» si legge nell'articolo del Tages-Anzeiger e «la maggior parte delle sentenze per corruzione ha riguardato il settore delle materie prime». Da non trascurare il fatto che la piazza finanziaria svizzera è stata utilizzata «come snodo per pagamenti illegali. Il caso più noto fu nel 2016 il colosso brasiliano delle costruzioni Odebrecht».
La presenza delle aziende elvetiche all'estero è rilevante e «oltre 20.000 operano fuori da Europa e Nord America. Ciò aumenta la probabilità di entrare in contatto con la corruzione».
Le statistiche dicono che «circa una su cinque di queste aziende effettua pagamenti corruttivi. Spesso le aziende si sentono costrette a farlo per avere una chance di ottenere incarichi. Il numero dei casi non perseguiti è probabilmente enorme» riporta il quotidiano zurighese.
Lodi e critiche da parte delle ONG - Nel suo rapporto “Exporting Corruption”, l’organizzazione non governativa Transparency International, «ha indicato la Svizzera insieme agli Stati Uniti come l’unico Paese contraddistinto da un attivo impegno delle autorità giudiziarie». Seppur lodando l’impegno del Ministero pubblico della Confederazione, critica però la prassi politica e amministrativa della mancata restituzione dei fondi. «La Svizzera dovrebbe intraprendere dei passi, così che i profitti illeciti delle aziende possano essere usati a favore delle vittime». Andrebbe cambiata la legge, in sostanza. Questo perché la norma «prevede che i fondi possano essere restituiti solo se le autorità del Paese danneggiato perseguono il reato in un proprio procedimento penale, oppure se la Svizzera ha fornito assistenza giudiziaria sostanziale alle loro indagini». Nei Paesi in via di sviluppo, dove gli episodi di corruzione sono maggiori, risulta arduo soddisfare i severi requisiti svizzeri richiesti.
Un'altra ong, Public Eye, auspica la modifica della legge del 2001. Una prima proposta del Consiglio federale per esaminare le opzioni disponibili è stata respinta dal Consiglio nazionale lo scorso mese di giugno. Il capo del Dipartimento degli Affari esteri Ignazio Cassis - conclude il Tagi - «ha sostenuto durante il dibattito che con l’attuale regolamentazione per lo Stato estero esiste un incentivo a collaborare con la Svizzera». C'è ancora molto da lavorare.




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