Chi protegge i minori, se non la giustizia?

Lorenzo Onderka, sostenitore di Avanti con Ticino&Lavoro
Tre storie recenti in Ticino ci costringono a guardarci negli occhi e a chiederci se stiamo davvero proteggendo i nostri figli.Pene sospese per chi abusa, una minorenne tradita da chi doveva custodirla e un gruppo di ragazzi che, sentendosi soli, si è spinto a farsi giustizia da sé. Davanti a tutto questo, una domanda diventa inevitabile: che cosa sta succedendo alla nostra capacità di difendere i più giovani?
Negli ultimi mesi, in Ticino, sono emerse vicende che fanno male. Non tanto per la loro complessità, ma perché ci costringono a chiederci se, come comunità, stiamo davvero proteggendo i minorenni.
La prima storia è quella di Don Rolando Leo, condannato a 18 mesi con la condizionale per aver molestato diversi adolescenti. Nella sentenza si legge che molti dei ragazzi “nemmeno ricordavano” gli episodi e quindi “non si vede come ne potrebbe essere derivato qualsivoglia turbamento” .Parole che lasciano increduli. Davvero un minore, solo perché non ricorda, non sarebbe turbato? Davvero un abuso può essere definito “al livello più basso immaginabile” quando a compierlo è una figura religiosa, un adulto di riferimento?
La seconda storia riguarda un educatore trentenne che, in una struttura protetta, ha avuto almeno cinquanta rapporti completi con una minorenne fragile. Anche qui la pena è sospesa: 22 mesi condizionali, nonostante i reati includano atti sessuali con fanciulli, pornografia e violazione del dovere educativo .Una ragazza in cerca di sostegno si è ritrovata nelle mani di chi avrebbe dovuto proteggerla. E la risposta della giustizia è stata ancora una volta debole, quasi timorosa di guardare in faccia la realtà.
A questo punto diventa inevitabile una domanda più ampia: cosa succede quando la fiducia nelle istituzioni vacilla?
Il terzo caso sembra offrirne un indizio inquietante. Un gruppo di adolescenti del Luganese ha iniziato a tendere trappole a presunti pedofili, adescandoli online e punendoli da soli. È un comportamento sbagliato, pericoloso, da condannare. Ma ci interroga: perché dei ragazzi così giovani hanno sentito il bisogno di sostituirsi alla giustizia? Cosa li ha convinti che l’unico modo per difendersi fosse agire da soli?
Queste tre vicende, affiancate, compongono un quadro che non possiamo ignorare.Se chi abusa riceve pene sospese; se il tradimento di un ruolo educativo viene trattato come un errore recuperabile; se in una sentenza si può scrivere che un abuso “non turba”; e se dei minorenni arrivano a intervenire da soli… allora la domanda diventa semplice e dolorosa: stiamo ancora proteggendo i nostri figli?
Nessuno vuole giustificare ciò che hanno fatto quei ragazzi. Ma ignorare il contesto che li ha spinti a quel gesto sarebbe un errore ancora più grande.Forse dovremmo ammettere che troppi minorenni vivono senza sentirsi davvero protetti. E che chiedere loro fiducia nella giustizia diventa difficile se la giustizia stessa — almeno in questi casi — non ha saputo essere all’altezza delle loro aspettative. La domanda finale non è tecnica: è profondamente umana: una comunità che non difende i suoi giovani può davvero stupirsi se alcuni di loro, invece di fidarsi, scelgono di difendersi da soli?




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