"Space of a Breath" è il penultimo dei singoli che anticipano l'album della band ticinese, in arrivo a marzo
LUGANO - Una canzone che scorre limpida nelle vene e che mescola con assoluta maestria il pop cosmico e la psichedelia anni '60, ottenendo come risultato... una ballad anni '80, energica e solare. È quanto sono riusciti a fare i Monte Mai con "Space of a Breath". Edito come sempre da il domani, è il secondo dei tre singoli che andranno ad anticipare il nuovo album del trio luganese, atteso per la prossima primavera. Ne abbiamo parlato con Fabio Besomi, bassista e autore, che condivide questa avventura con Anaïs Schmidt e Fabio Pinto.
Anche "Space of a Breath", come il precedente singolo "Japanese Girl", ha un legame con l'Oriente.
«Francamente non è stato voluto. Si vede che abbiamo attraversato una fase compositiva ispirata all'Oriente. Ci piace assolutamente avere sull'album questo tipo di assonanze, che siano di stili o generi oppure di melodie, di filtri - qualsiasi cosa che renda congruente il disco».
Un ragionamento in controtendenza con i tempi, quello di pensare "per album" e non "per singoli".
«Chiaramente nell'industria contemporanea il singolo è tutto. Ma a noi interessa l'idea di stampare in vinile, è qualcosa che ci piace molto. Il "negozio" che ti porti in giro, ai concerti, è importante: il nostro lavoro inizia quando si va a suonare e finisce con il "bottino", una volta venduti i dischi».
A produrre la vostra musica, ultimamente, è Domi Chansorn.
«Un professionista con il quale abbiamo voluto lavorare fortemente, ben sapendo che avrebbe portato una visione, lasciamelo dire, più spirituale della musica. Sui vari brani dell'album è più facile costruire un racconto - e "Space of a Breath" fa parte a pieno titolo di quest'ottica».
Per il ruolo che gioca nel progetto (e con le dovute differenze), lo possiamo considerare un po' il vostro George Martin?
«In fondo sì. Il pezzo l'abbiamo scritto noi, è 100% Monte Mai, ma lui ci ha messo la sua firma aggiungendo ad esempio quella batteria alla Phil Collins, pesantissima, che è andato a pescare in un magazzino nel quale ne conserva un'infinità. Nel brano c'è molto del suo mondo sonoro».
C'è una immaginifica e riuscitissima fusione d'influenze e di decenni.
«Quando gli abbiamo portato il master del singolo gli abbiamo chiesto: "Fallo suonare come "Let's Dance" di Bowie". "Space of a Breath" suona evidentemente anni '80, anche se ci sono queste influenze anni '60, si percepisce la West Coast e, visto che li abbiamo citati, anche un po' di Beatles».
Cos'è che dura "lo spazio di un respiro"?
«Credo che ognuno, attraverso il proprio mondo interiore, riesca a darsi questa risposta. Abbiamo cercato di sollevare la questione, poi è bello che ognuna abbia la propria visione».
È una canzone che emana gioia e grande energia.
«È nata una sera tra me e Pinto, è uscita "di petto" - come un po' tutto il disco, peraltro. Non ci siamo preoccupati troppo delle forme stilistiche, a vantaggio della spontaneità e della freschezza. Anche con questi ritornelli autocelebrativi, che rimandano se vuoi agli Abba (che adoro) e alle varie sfumature del pop».
"Space of a Breath" ha già avuto il suo battesimo del palcoscenico?
«Sì, ad Amburgo al Reeperbahn Festival, non il weekend appena trascorso ma quello precedente. Un palco enorme, sembrava di essere al Festival di Sanremo (ride, ndr). È stata una figata poter prendere parte a quello che è forse il più grande club festival d'Europa, poi in un quartiere come St. Pauli - e con un tempo che sembrava di essere a Rimini!».
A che punto siete con l'album?
«È concluso, siamo a metà del mix. Tra un paio di settimane dovremmo aver finito e verso novembre andremo in stampa. Ci rivediamo il 21 marzo 2025».