Siate sinceri: non si scappa dall'azienda, ma dall'inettitudine dei manager
LUGANO - C'è chi giura sia per lo stipendio. Chi per la qualifica; chi per raccogliere una sfida. Per stare più tempo con i figli, per esser più vicino a casa. Pochi lo confessano: ma spesso, o almeno più di quanto lo si ammetta, quando si lascia il posto di lavoro è per fuggire. Dall'azienda? Eh no. Da una persona specifica, e con un difetto ben preciso e condiviso: il capo. Incapace.
C'è vita fuori di qui - Colui che non sa gestire i lavoratori come ci si aspetta, ne frusta doti e ambizioni, trascura i profili personali e le esigenze fuori dall'ufficio. In America è la ragione recondita dell'addio, scrive l'Huffington Post: al manager, che con la propria inettitudine finisce per svilire perfino i vantaggi di un contratto a tempo indeterminato, un'occupazione che altrimenti piace e una remunerazione magari non indifferente. Poco o nulla, davanti al vedersi puntualmente oberati di lavoro, rimproverati per l'errore ma non elogiati per il successo; usati come numeri per svolgere una commissione e mai pungolati intellettualmente; trascurati come individui che hanno vita al di fuori dell'ufficio, con esigenze importanti e differenti. E magari scavalcati da colleghi che non meritano di essere portati così in palmo di mano.
Ma quanto mi costi - Con danni che poi vengono pagati dall'azienda: perché chi è bravo e intelligente, dicono le statistiche, alla fine cede. Se ne va, specie se ha fra i 25 e i 45 anni: in America come in Ticino. «È vero che spesso non si tratta solo di stipendio: un capo incapace di esercitare la sua leadership ha un impatto negativo sul collaboratore - conviene la psicologa Raffaella Delcò - Così com'è vero che esistono altri fattori incisivi. I conflitti tra i membri di un team possono giocare un ruolo importante. O lo stress che deriva dal dover essere sempre disponibili, la rapidità e i ritmi moderni del lavoro». Che logorano fino a che la fuga è l'unica maniera per non soccombere. L'alternativa, prima o poi, è la malattia. O "stress da lavoro": per costi stimati di 4,2 miliardi di franchi all'anno, in Svizzera.
Gli errori da non fare - Tutti avvisati, dunque. Capo in primis, cui non resta che spulciare la lista degli errori da evitare: e correggersi in fretta, per gli altri e per se stesso. In testa alla classifica degli sbagli, qualcosa di tanto diffuso quanto difficile da riconoscere: sovraccaricare di lavoro sempre i soliti. A seguire, non saper riconoscere il buon operato svolto. Dimenticarsi che i collaboratori sono individui con esigenze extra-lavorative: scorretto pensare che non sono cosa che riguardi il manager, caldamente consigliato anzi a farsene carico. Quarto: ogni promessa è debito. Cinque: attenzione a non sopravvalutare i subalterni, crea solo tensioni sterili fra pari. Coltivare una passione sul posto di lavoro non è un peccato: aiuta al contrario il rendimento. Ciascuno ha le proprie doti: le abilità individuali possano portare frutto anche in azienda. Così come la creatività, che va stimolata. Assieme alle sfide intellettuali.