«Arrestare Almasri»

La Libia riconosce l'autorità della Corte penale internazionale
TRIPOLI - La Libia si schiera con la Corte penale internazionale e ne riconosce la giurisdizione sui crimini di guerra e sulla repressione commessi dal 2011 fino alla fine del 2027.
Ad annunciarlo al Consiglio di Sicurezza dell'Onu è stato il procuratore della corte Karim Khan, che non ha perso tempo e ha chiesto di «arrestare e consegnare» alla Cpi il generale Almasri, il responsabile del centro di detenzione di Mitiga a Tripoli e ricercato per omicidio, stupro e tortura, al centro di dure polemiche in Italia, dove era stato catturato lo scorso gennaio prima di essere scarcerato e rimpatriato.
«Elogio il coraggio, la leadership e la decisione delle autorità libiche di riconoscere l'autorità della corte», ha detto Khan. La Libia infatti non è membro dello Statuto di Roma, ma il Consiglio di sicurezza ha deferito la situazione del Paese alla corte nel febbraio 2011, dopo l'inizio di proteste senza precedenti, represse violentemente, contro il regime di Muammar Gheddafi.
In questo contesto è giunto l'appello di Khan ad arrestare Almasri e di consegnarlo «affinché possa essere processato per i crimini che presumibilmente ha commesso». Su di lui, ha ricordato il procuratore, «abbiamo emesso un mandato di arresto ma è fuggito. Ed è tornato in Libia passando per l'Italia».
L'annuncio di Khan è giunto mentre Tripoli è tornata a respirare una calma tesa, che molti temono si possa trasformare nuovamente in tempesta dopo i violenti scontri armati degli ultimi giorni e il crescente malcontento verso la leadership al governo, culminato in una protesta di fronte alla residenza del premier Abdelhamid Dbeibah alla quale le forze di sicurezza hanno risposto con le armi.
La situazione della sicurezza a Tripoli «è stabile e sotto controllo», ha annunciato il ministero dell'Interno del governo di unità nazionale (Gnu), sottolineando che «sono state dispiegate pattuglie in diverse località strategiche nell'ambito di un piano volto a migliorare la sicurezza e a rassicurare i residenti».
Ieri in tarda mattinata, a sorpresa, il Consiglio presidenziale libico guidato da Mohammed Menfi ha emesso una risoluzione che congela tutte le decisioni militari e di sicurezza emanate dal premier Dbeibah, compreso lo scioglimento della milizia Radaa che aveva scatenato gli ultimi furiosi combattimenti nella capitale libica. Il provvedimento stabilisce inoltre la costituzione di una commissione d'inchiesta per indagare sugli eventi accaduti a partire da lunedì 12 maggio e «determinare le responsabilità per i danni arrecati a proprietà pubbliche e private».
Intanto però si è scatenato un fuoco di fila: nella notte le forze di sicurezza libiche del governo sono state costrette a ricorrere alle armi per disperdere i manifestanti che stavano protestando di fronte alla residenza del premier, chiedendone le dimissioni. Secondo alcuni media locali gruppi di dimostranti hanno anche «intonato slogan che chiedevano il ritorno di Saif Gheddafi alla presidenza della Libia» e il caos ha dato l'opportunità «anche i sostenitori di Khalifa Haftar» di reclamare a gran voce che il governo del Paese sia affidato al generalissimo, padre padrone dell'est libico.
In un altra dimostrazione, davanti alla sede dell'ex Apparato di supporto alla stabilità, occupata dalla 444/a Brigata dopo l'uccisione del leader Abdel Ghani al Kikli e l'offensiva contro la sua milizia, un responsabile della sicurezza, Ali Al-Jaberi, che tentava di placare la folla è sopravvissuto ai colpi d'arma da fuoco esplosi contro il suo veicolo. «I manifestanti armati hanno anche incendiato veicoli militari blindati», scrive il Libya Observer.
Sul fronte politico, le bordate al premier e la richiesta di dimissioni immediate sono arrivate anche dai responsabili di alcune tribù di Tripoli, i Warfalla in primis, e da tutto l'arco del fronte Haftar opposto al governo di unità, dal presidente della Camera dei rappresentanti Aqila Saleh fino Osama Hamada, capo del 'governo' basato a Bengasi non riconosciuto dall'Onu.
Posizioni a cui ha risposto il Consiglio militare di Misurata, i notabili e gli anziani della città, che hanno espresso profonda preoccupazione per «i movimenti sospetti» e «manifestazioni inventate» a Tripoli. «Qualsiasi attacco al governo di unità verrà affrontato con fermezza e con la forza», ammonisce un comunicato ufficiale.