«Io, amico del Papa, in mezzo al mare a salvare vite»


Luca Casarini, per anni a capo dei movimenti antagonisti, dal 2018 guida la ong "Mediterranea"che soccorre i migranti nel Mediterraneo
Luca Casarini, per anni a capo dei movimenti antagonisti, dal 2018 guida la ong "Mediterranea"che soccorre i migranti nel Mediterraneo
PALERMO - È stato per anni uno dei leader dei movimenti di protesta, dai "Disobbedienti" ai "no-Global", ma anche la voce più autorevole dei centri sociali del Veneto.
Dai "no" alla guerra a quelli sulla globalizzazione che dimentica gli ultimi, passando dal rivendicare il "diritto per tutti di avere dei diritti", Luca Casarini, 58 anni di Mestre (ospite di Chiasso Letteraria allo Spazio Officina domenica 11 Maggio alle 14.00 in dialogo con l’economista Christian Marazzi), dal 2018 le sue battaglie di giustizia e per un mondo meno disumano le ha affidate a una flotta di navi che sotto la bandiera della ong "Mediterranea" - da lui fondata con uno sparuto gruppo di persone - soccorre i migranti in mare.
Un tempo bisognava cercarla in Laguna: in questo momento la trovo nelle acque del Mediterraneo?
«No, la "Mare Ionio" (una delle 20 imbarcazioni della flotta, ndr) è in cantiere a Napoli. Si sta preparando alla missione di fine maggio. La nostra nave, come le altre del soccorso civile, sono tra le più controllate al mondo. Sa, tentano di fermarci, ma noi accogliamo tranquillamente questa continua insistenza di richiesta di controlli da parte delle autorità e di questi continui adeguamenti. Le altre navi mica le controllano così. Insomma, tentano di bloccarci per via amministrativa».
Pur sapendo che di voi - anche se non lo si vuole ammettere - c'è un estremo bisogno visto quello che accade là in mezzo?
«Le dò una notizia: abbiamo appena denunciato questa mattina (martedì 6 maggio, ndr) l'avvenuto naufragio di 50 persone davanti alle coste della Tunisia: sono morti tutti! È accaduto qualche giorno fa e siamo riusciti a ricostruire l'accaduto anche tramite i familiari e fonti locali. Capisce che sono questi naufragi cosiddetti fantasma il nodo della questione? E sa come si chiama? Omissione di soccorso! E in un mare che è il più controllato di tutti: rappresenta lo 0,8% di tutti i mari, è una pozzanghera dai, però vi passa il 35% del commercio mondiale, è pieno di navi da guerra e mi si vuole dire che non si accorgono di quello che accade? E di una carretta con dentro dei poveri disperati da salvare? No, no, parliamoci chiaro, si sono accorti ma non lo dicono. E se la cavano con la scusa che tanto c'è la Libia e la Tunisia, ci pensano loro a intervenire. Loro? I Paesi che non hanno alcun criterio di rispetto dei diritti umani o di obbligo di soccorso e che non hanno neanche sottoscritto le convenzioni internazionali? Altra cosa: sa che noi a volte avvertiamo le autorità giorni e giorni prima. Crede che si muovano?».
Eppure il governo italiano dichiara di fare la sua parte con le navi militari e quelle delle capitanerie di porto.
«Ma se si sono inventati anche una teoria agghiacciante e a nostro avviso completamente illegale! Ragionano in termini di "pull-factor", la buttano su una cosa mostruosa come quella dell'attrattività. Come dire, se i migranti vedono che vengono soccorsi in mare quando stanno per affondare, allora partono di più. Se le notizie che gli arrivano dicono che moriranno in maniera atroce, non partono. Le abbiamo sentite certe agghiaccianti dichiarazioni del ministro Piantedosi dopo la strage di Cutro? Lì c'era una barca piena di gente e, sapendo che era un mare difficile, sapendo che era pericoloso, hanno voluto aspettarli a terra, gestendo la cosa come un problema di polizia e non di soccorso in mare. Non è un caso che ci sono delle persone sotto inchiesta».
Su quei barconi viaggia un traffico di esseri umani: i "capitani" o i "comandanti" alla guida" di quelle carrette del mare, voi li segnalate dopo che li avete tratti in salvo insieme a donne e bambini?
«Alt: i cosiddetti capitani sono migranti come gli altri che hanno subito torture e violenze di ogni genere, non sono parte di un'organizzazione. Quelli che diciamo prendono i soldi e trafficano con gli esseri umani stanno a terra. Funziona così: li accompagnano fino a 5 miglia, li abbandonano in mezzo al mare e poi salgono su un'altra barca e tornano indietro. Quelli che chiamano capitani sono migranti che in alcuni casi sanno anche per esempio portare una barca, ma nella maggior parte si mettono alla guida per non affondare insieme agli altri. Bisogna capire che il problema non è il povero cristo che guida il gommone, ma chi vi sta dietro: la mafia. Una mafia che al traffico d'armi, al traffico di droga, ha aggiunto il traffico di esseri umani perché è redditizio. Uno dei più famosi trafficanti è Almasri, il generale libico che l'Italia ha riportato a casa facendolo viaggiare su una aereo di Stato. Capisce l'ipocrisia?».
La sua missione è salvare le persone. La questione migranti, e della loro accoglienza, nell'opinione pubblica e in settori della politica vengono viste però anche come un problema: un problema di sicurezza. Le città per la presenza di extracomunitari non integrati sono sempre più insicure, le stazioni pullulano di clandestini che commettono reati. Due istanze sociali - il dovere di soccorrere e il diritto alla sicurezza appunto - che nel contesto attuale non sembra siano sempre conciliabili.
«Sta accadendo una cosa e cioè che sono le istituzioni che stanno creando la marginalità. La sicurezza la determini non abbandonando le persone, come sta avvenendo, e quindi clandestinizzando il migrante. Oggi con i decreti sicurezza vigenti si sta restringendo il diritto all'asilo, alimentando la clandestinità. Ma ti dirò di più: in Sicilia c'è un'organizzazione che si chiama "Medici per i diritti umani" che seguiva dal punto di vista psichiatrico le persone: ebbene, con il primo decreto sicurezza sono stati eliminati tutti questi interventi a sostegno dei migranti e questi medici hanno perso 600 casi psichiatrici. È un modo di procedere folle, perché poi queste persone te li ritrovi nelle famose stazioni di cui parlavi o finiscono nelle mani della criminalità. Se non lo vedi più nei tuoi radar, stai creando un problema, stai creando tu un clandestino. Si dimenticano poi i traumi psicologici subiti da queste persone durante questi viaggi della speranza come li chiamano. C'è gente che ci ha messo 5 anni prima di arrivare su quel gommone che tenterà di attraversare il Mediterraneo».
La storia di Luca Casarini è quella di un uomo che ha passato la vita a disobbedire, seppur a fin di bene: pensa sia l'unico modo per portare a termine quella missione da lei più volte dichiarata e cioè: "Questo mondo va cambiato"?».
«Messa così sembra che io sia un capriccioso, però le assicuro che io obbedivo molto a mia mamma. Tengo a precisare che non sono nato così (ride, ndr). No, non è l'unica via, ma la disobbedienza è un concetto molteplice, cioè nel senso che ha molte facce. Per esempio, uno che si prende cura di una persona sotto casa sua che ha bisogno, sta disobbedendo a qualcosa, all'idea per esempio che noi dobbiamo pensare al nostro, come ho sentito teorizzare dal vicepresidente americano Vance. Lui ha stravolto l'ordo amoris di San Tommmaso d'Aquino, affermando che "noi le deportazioni le facciamo perché siamo cristiani, perché prima dobbiamo avere amore per la nostra famiglia, poi per tutto il resto. Gli ha risposto Papa Francesco, con una lettera ai vescovi americani nel febbraio di quest'anno, ricordandogli che l'unico ordine dell'amore che dobbiamo promuovere è quello del buon samaritano, che crea fratellanza e non l'ordine dell'amore che crea devastazione, che crea rifiuto, respingimento, perché quello non è amore, è assenza di amore. E questo per dire che si può disobbedire amando una persona, prendendosene cura e io ce l'ho ben chiaro. La disobbedienza è una condizione dell'anima, una predisposizione. Posso disobbedire andando in mare e dicendo io non accetto l'idea che devo farli morire, disobbedisco all'idea di lasciarli morire. No, io gli vado incontro, vado in mare. La disobbedienza non è ribellismo, non è il piacere di ribellarsi. È l'opposizione tra la legge fatta dagli uomini e la giustizia, che per definizione non è una cosa umana, ma divina, fuori dalla sfera umana come dicevano i Greci».
Citava Papa Francesco: l'avrebbe mai detto che un giorno sarebbe passato dagli amici dei centri sociali a quelli di chiesa altolocati, anzi a quello che stava più in alto di tutti nella gerarchia ecclesiale? Come ci si sente a essere additato come il no-global amico del Papa?
«Un momento: il mio rapporto è stato però con un Papa, un successore di Pietro che baciava i piedi ai detenuti. Sì, certo, alto perché era il Papa, ma rivolto nelle azioni ai più bassi della scala sociale. Ricordiamoci di quello che diceva a chi gli chiedeva com'è a essere il successore di Pietro: lui ha risposto che Gesù ha preso Pietro dal popolo e non l'ha voluto separare dal popolo, perché non gli ha detto "tu sarai il capo di una élite potentissima", gli ha detto tu sarai un pastore e pastore significa occuparsi delle proprie pecore, del proprio gregge e soprattutto della parte di quel gregge che sta male e in pericolo».
Quindi Francesco e i suoi amici dei centri sociali sono arrivati a somigliarsi?
«Sì, si somigliano. Entrambi hanno (e hanno avuto) a cuore i più deboli, si occupano e si sono occupati degli ultimi della scala».
Eravate molto amici?
«Sì, un'amicizia consolidatasi sempre di più nel corso di questi sei anni in cui abbiamo condiviso molte cose. E fatto molte cose, soprattutto».
Quali i pensieri e le immagini che di lui le restano più impressi adesso che ha perso un grande amico?
«Papa Francesco la prima volta che l'ho visto, senza conoscermi né niente, mi ha abbracciato, mi ha abbracciato e mi ha detto: "Come stai?". Come se fossimo due vecchi amici che non si vedevano da tanto. E questo mi ha colpito moltissimo, perché è come se lui guardandomi negli occhi mi stesse facendo capire l'assenza di pregiudizio. Mi si è rivolto in totale assenza di pregiudizio».
Lui conosceva la sua storia?
«Ho scoperto dopo che la conosceva. Quando mi ha invitato al Sinodo dei vescovi, provocando tutto quel polverone, io mi sono un attimo sentito in dovere di fargli mandare da don Mattia Ferrari, il cappellano della nostra nave, una rassegna stampa degli ultimi miei vent'anni. Non volevo metterlo nei casini. E così gli abbiamo fatto avere il mio dossier, con quella "bella" rappresentazione che davano di me i giornali, per cui cose anche molto cattive. Lui ha risposto "grazie, ma lo conoscevo già"».
Poi in 6 anni vi sarete conosciuti meglio: telefonate, messaggi, incontri, un rapporto insomma costante. Di cosa parlavate soprattutto?
«Noi parlavamo di cose da fare. Ma la cosa più importante è che ho vissuto con lui in questi anni di frequentazione l'esperienza del cristianesimo originario. Ogni incontro con lui era Vangelo puro, discutevamo dei problemi dei nostri fratelli e sorelle migranti, discutevamo di come fare a organizzarci per aiutarli. E poi meditavamo, pregavamo, scherzavamo».
Su che cosa, ad esempio...?
«Mah...per esempio...io gli dicevo "guarda che se andiamo avanti così, prima o poi mi mettono in galera". E lui mi rispondeva: "E va beh...non preoccuparti...vengo a trovarti". Era un uomo molto ironico».
L'ha illuminata: si è iscritto a Teologia, è tornato a credere in Dio, lei che pur avendo avuto un passato anche da chierichetto, ho saputo essere stato un credente a fasi alterne. Secondo lei, Francesco la considerava come un moderno e disobbediente apostolo contemporaneo?
«In me ha visto una pecora smarrita e da buon pastore si è come dire molto impegnato a recuperarla. Ma deve sapere che io pur avendo litigato con la chiesa, dentro di me non sono mai stato non credente. Le faccio un esempio: anche nei momenti di grande rischio e scontri con la polizia nelle piazze, io ho sempre chiuso gli occhi e ho detto "Signore mio, aiutami". Sappia che uno dei modi per neutralizzare la forza dei movimenti sociali, è stato convincerli che c'è una separazione netta tra le lotte sociali e la spiritualità. Questa è una delle più grandi bufale. Io sono convinto che una persona che mette a disposizione la propria vita per delle lotte sociali, per un concetto di giustizia sociale, per una eguaglianza nel mondo, sta facendo quello che Dio gli suggerisce. Salvare vite è un'azione voluta da Dio. Io ho sempre saputo che ci fosse bisogno di riempire di qualcos'altro le nostre lotte sociali, per un altro mondo possibile. E oggi sono un uomo da questo punto di vista arricchito, con una spiritualità ben salda. Papa Francesco mi fatto vedere la chiesa che avrei sempre voluto».
Casarini, a fine mese tornerà in mare. È capitato che, come per i migranti in balia delle onde, le ha fatto paura il Mediterraneo?
«Credo che agli abitanti comodi e privilegiati del pianeta farebbe bene una volta sola venire a fare una missione in mare e provare dalla nostra nave a sentire la paura di notte, noi che siamo su una nave attrezzata, con le nostre radio e i sistemi di protezione. Provate a immaginare che cosa prova un bambino o una mamma con suo bambino che magari non ha neanche mai visto il mare, a stare in mezzo all'oscurità su una barchetta. La stragrande maggioranza delle persone non sa nuotare. Capite il coraggio che ci vuole a partire? Proviamo una volta per davvero a immedesimarci in loro, loro che ne hanno passate di tutti i colori, donne stuprate davanti ai loro bambini: tutte le donne che noi abbiamo salvato, ci hanno raccontato di essere state violentate dalle guardie. Le guardie stuprano anche le bambine. Queste cose qua ci devono entrare nella zucca! Pensateci. Io non posso fare finta di niente. Dal 2018 sono in mare e mi ha cambiato la vita. Che cosa immensa e semplice quando abbraccio qualcuno dopo averlo strappato alla morte. È questa la mia più grande missione, il mio scopo, il mio senso che dò alla vita. Mica i soldi o una macchina bella».