Tra cura e illusione pagata a caro prezzo

Promossi come nuova frontiera per combattere l'obesità, i farmaci come Wegovy e Ozempic sono sulla bocca di tutti, anche di influencer e vip. Gli esperti mettono in guardia: «La salute non coincide con l’omologazione estetica»
LUGANO - Accanto ai tradizionali approcci basati su dieta ipocalorica, incremento dell’attività fisica e sostegno psicologico, la ricerca farmacologica ha negli ultimi anni messo a disposizione nuove opzioni terapeutiche per la gestione dell’obesità. Tra queste, i farmaci agonisti del recettore del GLP-1 – come il semaglutide (Wegovy, Ozempic e Rybelsus) – hanno conquistato le prime pagine dei giornali.
Nati come presidi per la cura del diabete, oggi questi farmaci sono utilizzati, in contesti clinici ben definiti, per il trattamento dell’obesità.
Il tema è delicato, motivo per il quale abbiamo scomodato - per trattarlo con le giuste proporzioni - le psicologhe e psicoterapeute Elena Contento, Simona Porta e Silvia Bellapi, assieme alla dott.ssa Elena Quaglia, medico psichiatra, del Centro Disturbi del comportamento alimentare (DCA) dell'Ospedale Beata Vergine di Mendrisio.
Obesità, di cosa stiamo parlando?
«Di una malattia cronica, non un semplice problema estetico. L’obesità infatti comporta un eccessivo accumulo di tessuto adiposo che altera profondamente l’equilibrio dell’organismo e determina conseguenze gravi per diversi apparati. Definirla come malattia non è una scelta semantica, ma il riconoscimento di una realtà clinica ed epidemiologica che la sanità pubblica non può ignorare».
Una malattia che oggi sembra aver trovato una cura.
«Al di là delle linee guida e delle evidenze scientifiche, i GLP-1 stanno assumendo un ruolo simbolico, diventando il nuovo protagonista di un immaginario collettivo che li presenta come la scorciatoia perfetta, la soluzione immediata e indolore al problema del peso corporeo».
Serena Williams ha candidamente raccontato di aver perso 14 chili grazie al semaglutide, promuovendolo come “cura miracolosa”.
«Testimonianze di persone comuni e dichiarazioni di celebrità contribuiscono a veicolare un messaggio che va ben oltre la medicina. Il farmaco viene narrato come un passaggio rapido verso la magrezza, con la promessa di cancellare fame, desideri e difficoltà di autogestione».
Non è così?
«Vi è un duplice rischio: da un lato si rinforza la pressione sociale verso un modello estetico univoco e irraggiungibile, dall’altro si oscura il dibattito culturale portato avanti negli ultimi anni dai movimenti di body positivity, che hanno provato a scalfire il dogma della magrezza come unico ideale di bellezza. È come se, arrivato finalmente il “farmaco miracoloso”, non fosse più necessario imparare ad accettare il proprio corpo: ora la trasformazione è a portata di mano, grazie alla scienza».
Immagino un impatto importante sugli adolescenti in quella che è l’età in cui si costruisce l’identità corporea.
«Se questa narrazione raggiunge gli adolescenti, gli effetti possono essere particolarmente destabilizzanti. L’adolescenza è una fase in cui il corpo diventa il luogo privilegiato della costruzione identitaria, spesso vissuto come fragile, inadeguato, bisognoso di conferme. In questa età non di rado si osservano comportamenti estremi: diete rigide, ore di allenamento estenuante, controllo ossessivo di fianchi e cosce, fino a veri e propri disturbi del comportamento alimentare. In tale contesto, un farmaco che promette un dimagrimento rapido e indifferenza verso i cibi temuti rischia di diventare un’illusione: la molecola capace di garantire finalmente il corpo perfetto, e con esso la possibilità di sentirsi amati, accettati, desiderati».
Quali sono i rischi?
«Il prezzo di questa illusione è alto: l’idea di unicità corporea, la possibilità di riconoscere valore alle proprie specificità e di accettare limiti e imperfezioni, rischiano di essere espulse dall’orizzonte simbolico dei giovani».
L’impatto sugli adulti invece?
«Anche gli adulti non sono immuni. Negli ultimi anni molti hanno imparato a guardarsi con occhi meno severi, riconoscere che la salute e il benessere non coincidono sempre con la magrezza. Eppure, l’eco mediatica dei GLP-1 può generare una frattura emotiva: da un lato il percorso di accettazione e consapevolezza, dall’altro la percezione che la vera soluzione resti comunque farmacologica. Come se, nonostante tutto, il corpo “giusto” fosse quello trasformato, quello reso conforme a un ideale estetico dall’intervento della scienza».
Con questi farmaci la strada sembra spianata
«Il semaglutide alimenta anche un’illusione di onnipotenza: l’idea che il corpo sia totalmente plasmabile e che la scienza possa liberarlo da fame, desiderio e limite. Ma il corpo resta lo spazio dove si intrecciano potenza e impotenza: nascita, malattia, morte. Ridurre il corpo a una questione di immagine significa impoverire questa complessità, semplificando processi fisiologici e mentali che invece richiedono cura, tempo e relazione».
Quindi è un no categorico all’utilizzo di Ozempic e simili?
«È doveroso sottolineare che i GLP-1 rappresentano un presidio terapeutico prezioso per chi soffre di obesità, una patologia cronica con conseguenze mediche rilevanti. Accettare il proprio corpo non significa accogliere passivamente una condizione patologica, ma riconoscerla, comprenderne i rischi e intraprendere responsabilmente percorsi di cura appropriati. Non bisogna dimenticare che il semaglutide è un farmaco, non un cosmetico».
Farmaco che sui social è sempre più sponsorizzato.
«I personaggi pubblici che raccontano la propria trasformazione corporea attraverso un farmaco assumono una responsabilità non trascurabile, in una società in cui le immagini hanno un potere enorme. La semplificazione di un messaggio così complesso può veicolare l’idea che la bellezza sia finalmente a portata di mano, alimentando un pensiero dicotomico (magro=giusto, non magro=sbagliato) e comportamenti potenzialmente pericolosi. La responsabilità, tuttavia, non ricade solo sui testimonial: spetta alla comunità scientifica e clinica, ai media e alle istituzioni culturali riportare complessità, stimolare il pensiero critico, promuovere un’informazione accurata».




Su alcuni temi riceviamo purtroppo con frequenza messaggi contenenti insulti e incitamento all'odio e, nonostante i nostri sforzi, non riusciamo a garantire un dialogo costruttivo. Per le stesse ragioni, disattiviamo i commenti anche negli articoli dedicati a decessi, crimini, processi e incidenti.
Il confronto con i nostri lettori rimane per noi fondamentale: è una parte centrale della nostra piattaforma. Per questo ci impegniamo a mantenere aperta la discussione ogni volta che è possibile.
Dipende anche da voi: con interventi rispettosi, costruttivi e cortesi, potete contribuire a mantenere un dialogo aperto, civile e utile per tutti. Non vediamo l'ora di ritrovarvi nella prossima sezione commenti!