Ricoprire un ruolo di potere può essere difficile da gestire se si è deboli o insicuri. L'esperto: «A farne le spese sono i sottoposti».
LUGANO - In quanti, almeno una volta nella vita, avranno subito un abuso da parte di un'autorità o di una persona che ricopre una posizione di comando. Non è necessario che questa indossi una divisa, come l'agente della polizia ferroviaria finito alla sbarra per presunte lesioni ai danni di un passeggero. L'abuso può infatti avvenire negli ambiti più disparati. Certamente in quello lavorativo. E non comporta necessariamente l'uso della violenza fisica.
Lo sa bene Andrea Martone, Professore Associato di Organizzazione aziendale con oltre 30 anni di esperienza nel management delle risorse umane.
«Esiste un termine codificato e qualificato, è il cosiddetto “bossing”. In sostanza è il mobbing praticato dal superiore gerarchico. Un termine che può essere applicato a chi indossa una divisa - in quel caso si parla di “military bossing”, ma anche a tutti gli altri ambiti: quindi sul posto del lavoro, nel mondo dello sport. Anche tra i miei colleghi professori ai danni degli studenti, purtroppo».
Ci sono dei meccanismi che portano una persona in una posizione di potere ad abusarne?
«Se escludiamo le situazioni patologiche, che riguardano una persona in preda a un delirio di onnipotenza o a problemi di tipo psichiatrico o psicologico, di solito questi comportamenti vengono utilizzati per esercitare delle indebite pressioni sui collaboratori. Solitamente il “capo” agisce con questa modalità per emarginare una persona e spingerla al licenziamento, oppure per isolarla, sottometterla. Ma anche per renderla disponibile a qualsiasi tipo di richiesta, che può includere ad esempio lavoro extra o compiti che esulano dalle sue competenze, sconfinando in quello che viene definito demansionamento. Spesso il bossing viene agito tramite l'umiliazione, sottolineando gli errori commessi dal dipendente davanti a tutti. Oppure tramite il sovraccarico di lavoro, chiedendo alla persona di fare più cose di quelle che umanamente può portare a termine. Una modalità più "soft", ma non per questo meno importante, avviene non riconoscendo mai il lavoro del collaboratore. Quindi negandogli un riconoscimento umano ed economico».
Ha senso un comportamento del genere?
«È oggettivamente vero che viviamo in una società in cui chi ricopre un ruolo di potere fa molta fatica a far valere la propria autorità. Tuttavia, agire in questo modo produce esattamente l'effetto opposto».
Ci sono tratti di personalità che rendono alcuni individui più inclini a questo tipo di comportamenti?
«Non ho dati alla mano, ma a sensazione li attribuirei sicuramente a persone insicure. Chi è molto fiducioso e consapevole delle proprie capacità, della propria leadership e del proprio carisma non ha alcun bisogno di mettere in atto queste strategie, non solo violente, ma anche umilianti e, per di più, illegali».
Le aziende come si pongono di fronte ad abusi commessi da chi ricopre ruoli autoritari?
«L'ordinamento giuridico fa di tutto per combattere questi comportamenti. Nelle aziende, oggi, si fa un gran parlare di “corporate social responsability”. C'è grande attenzione verso la responsabilità sociale. Detto questo, gli individui particolarmente deboli e frustrati non mancano. Trovandosi ad agire in ruoli di potere, in un contesto che accentua la sensazione di insicurezza, pongono in essere comportamenti di questo tipo. Non direi quindi che l'azienda favorisce il bossing, anzi. Oggi si è terrorizzati dal poter essere richiamati in quanto responsabili rispetto a questi comportamenti».
Quali possono essere le conseguenze psicologiche per le vittime di abuso?
«Le conseguenze sono purtroppo note e ormai classificate. Si parte da uno stato di ansia, di esaurimento e di depressione. In casi peggiori si può arrivare a disturbi alimentari o del sonno. C'è chi non riesce più a dormire la notte».
È possibile che il bossing agisca a cascata, dai vertici ai sottoposti?
«Di dati in questo senso non ce ne sono. È una realtà sommersa, il lato oscuro del mondo del lavoro. Le aziende non vogliono che se ne parli, ma alberga nei più l’idea che la società sia retta in parte da comportamenti scorretti. Occorrerebbe uno studio sistematico su un campione di aziende per tastare il polso della situazione. Detto questo, il tema del bossing a cascata è molto frequente. È un po' come il bambino che ha subito violenza che poi diventa un genitore violento. O del vecchio nonnismo da caserma. Qui abbiamo il lavoratore, il quadro intermedio, che subisce pressioni inappropriate dal proprio manager e che tende poi a riprodurle tali e quali sui propri collaboratori. Un fenomeno pericoloso perché si allarga a macchia d'olio e rende tossico tutto l’ambiente di lavoro».
Alle aziende il bossing può giovare?
«Potrebbe esserci l’impressione che sia così. Ma no, in questo meccanismo i benefici sono veramente minimi rispetto ai costi. E quando dico costi intendo alle ripercussioni sulla salute dei dipendenti. Alla lunga questa tossicità non paga, anzi, serve un conto salato».