Condannata per aver ucciso la figlia con una pietra: in appello la difesa chiede l'assoluzione, l'accusa riconferma il carcere a vita.
BERNA - Da una parte, l’accusa considera le prove «schiaccianti» e chiede la conferma del carcere a vita. La difesa, invece, vuole l’assoluzione. È un processo destinato a far discutere e se ne parlerà ancora nei prossimi giorni, nonostante si sia conclusa lunedì l’udienza d'appello: alla sbarra MA, condannata in primo grado per avere ucciso la figlia. La sentenza arriverà il 24 marzo.
I fatti - La vicenda, lo ricordiamo, scosse tutta la Svizzera e risale a febbraio del 2022. E., bambina di 8 anni, veniva trovata morta in un bosco vicino a Berna, colpita e uccisa con una pietra da otto chili. Oggi, lunedì 17 marzo, la madre, 33enne è ricomparsa davanti al tribunale di Berna, cercando di ribaltare la sentenza di colpevolezza.
«Un ostacolo per la madre» - L’accusa ha riportato quanto detto dalla figlia prima della morte. «La madre considerava la figlia un ostacolo. Dopo tre settimane, E. fu ritrovata nel bosco priva di vita». Per il procuratore «non c’è alcun dubbio» che la 33enne «abbia ucciso la bambina». Sono 16 le prove che, in primo grado, hanno inchiodato la 33enne, tra cui dichiarazioni contraddittorie e i dati dei telefoni cellulari.
«Improbabile si sia recata nella foresta da sola» - Inoltre, ha fatto notare come sia davvero improbabile che E. si sia addentrata nella foresta da sola, «a quell’età e con quelle condizioni meteorologiche». Inoltre, «non ci sono prove del coinvolgimento di terzi. Non ci sono evidenze che l’autore del gesto sia l’ex fidanzato, due anni dopo la separazione: dove non c’è niente, non si può trovare nulla».
La difesa: «Vogliono farla passare per una madre cattiva» - La difesa, invece, chiede l’assoluzione da tutte le accuse. «Vogliono dipingere il quadro di una cattiva madre. Inoltre, non si può dire che «l’indagine sia stata ampia e completa. Anzi, è andata in una sola direzione». Per l’avvocato «non tutte le ferite di E. sono state causate dalla pietra. I risultati delle ricerche dei cani da caccia e il percorso che madre e figlia avrebbero seguito secondo i resoconti dei testimoni non coincidono.
L'imputata: «Ero in uno stato di shock» - Fra le testimonianze ascoltate in aula, c’è stata quella dell’imputata. La donna ha spiegato di trovarsi in uno stato emotivo «complesso». «Non puoi semplicemente dimenticare», ha aggiunto. Nella ricostruzione fornita alla corte, la donna ha detto d’essere andata a cercare la figlia (insieme con sua mamma, la nonna della bambina) nel bosco, dove si trovava il suo nascondiglio. «Ho visto che era coperta di sangue. L'ho scossa, ma senza nessuna reazione. Ero in uno stato di tale shock, di trance, che né io né mia madre siamo riuscite a provare a rianimarla.»