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SVIZZERA

La caccia è sempre più rosa

In 10 anni è quasi quadruplicato il numero di donne che la praticano. Nonostante le critiche degli ambienti animalisti, si dicono mosse da un desiderio di sostenibilità, contatto con la natura e consumo consapevole.
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La caccia è sempre più rosa
In 10 anni è quasi quadruplicato il numero di donne che la praticano. Nonostante le critiche degli ambienti animalisti, si dicono mosse da un desiderio di sostenibilità, contatto con la natura e consumo consapevole.

ZURIGO - In una mattina d’autunno nel bosco di Willbrig, nel Canton Lucerna, la cacciatrice Ronja Stöckli attende silenziosa con il suo cane da caccia. È l’inizio della caccia bassa, che in Svizzera si svolge da ottobre a dicembre e durante la quale battitori e cani spingono la selvaggina verso i cacciatori appostati.

Ronja, 33 anni, si è avvicinata alla caccia attraverso il marito, come racconta alla NZZ. Dopo aver partecipato a lavori di manutenzione forestale e a giornate di battuta, ha deciso di ottenere la licenza, che possiede da due anni. Il motivo principale che l'ha indotta ad abbracciare il fucile è l’autosufficienza alimentare: procurarsi carne propria e conoscere l’origine del cibo.

Le donne cacciatrici restano una minoranza in Svizzera, ma il loro numero è in crescita: da 355 nel 2014 a oltre 1400 oggi, su circa 30.000 cacciatori. Dal 2024 hanno anche una propria associazione, Diana Helvetia.

Stöckli considera la caccia un atto di gestione della natura, più che di predazione. In alcune aree della Svizzera, la frammentazione del territorio e la scarsità di predatori naturali rendono necessario il controllo delle popolazioni di caprioli e cervi per evitare danni alla vegetazione e la diffusione di malattie. Nel suo distretto, il contingente annuale è di 32 capi di capriolo.

La "Treibjagd" è tuttavia controversa: le associazioni animaliste denunciano la sofferenza causata dal rumore e dall’inseguimento, che possono portare a ferimenti non letali. Anche Stöckli ha vissuto situazioni di “ricerca post-ferimento”, quando un animale ferito deve essere rintracciato e abbattuto per evitare sofferenze prolungate.

Per la cacciatrice, l’etica è centrale: spara solo se il colpo è sicuro e mira alla spalla, per colpire cuore o polmoni e ridurre il dolore. Rifiuta la competizione tipica di alcuni ambienti venatori e insiste sul rispetto per gli animali abbattuti, espresso anche nei riti tradizionali come “l’ultimo pasto”, un rametto posto nella bocca della preda come “forma di rispetto” per garantirle un pasto nel suo viaggio verso l’aldilà.

Oltre alla caccia, Stöckli si dedica alla gestione ambientale: cura di siepi e recinzioni, addestramento del cane e interventi per salvare i cuccioli di capriolo prima della fienagione, tramite l’uso di droni.

Molte donne condividono motivazioni simili: sostenibilità, contatto con la natura e consumo consapevole. Stöckli consuma quasi esclusivamente carne di animali da lei abbattuti, che considera una scelta più onesta rispetto ai prodotti dell’allevamento intensivo.

Per lei, la caccia è parte di un equilibrio naturale e di una responsabilità diretta nei confronti del ciclo vita-morte. «La natura non può più autoregolarsi», afferma. «Il nostro compito è intervenire con rispetto e misura».

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