«I social? Nel calcio si rischiano guerre, si rischia di bruciare milioni»

I grandi dello sport devo fare molta, molta, attenzione
Calcio imbavagliato? Arno Rossini: «Ogni post deve essere autorizzato. Si vuole evitare ogni problema».
I grandi dello sport devo fare molta, molta, attenzione
Calcio imbavagliato? Arno Rossini: «Ogni post deve essere autorizzato. Si vuole evitare ogni problema».
LUGANO - Una pacca sul sedere da parte di una donna che aveva fatto una scommessa da 5’000 dollari. Marco Odermatt ha raccontato un aneddoto che lo ha divertito pochissimo, un fatto per il quale si è però anche assunto parte della responsabilità. «Mostriamo sempre di più la nostra vita privata sui social, le persone sanno talmente tante cose su di noi atleti che pensano di essere nostri amici».
Il campionissimo nidvaldese, testimonial da 500’000 follower solo su Instagram, ha sbagliato a raccontarsi al mondo? Oggi, con le sponsorizzazioni che hanno un grande peso sulla vita sportiva di un professionista, essere visibili è necessario. Il rossocrociato paga, probabilmente, il fatto di essere un atleta “singolo”. Negli sport di squadra, dove spesso il club gestisce i diritti di immagine di ogni tesserato, le uscite social sono molto meno “vibranti”.
«Per forza - è intervenuto Arno Rossini - In quel caso, in caso di errori nella comunicazione, non sei l’unico a rischiare. Odermatt è un’azienda, fa tutto capo a lui. Nel calcio invece, per esempio, i giocatori sono solo dei dipendenti. Pagati profumatamente, per carità».
Odermatt rischia di più?
«No, ha maggiore libertà. Che da una parte è un bene, dall’altra… va maneggiata con cura. Con un post sbagliato, lo sportivo “singolo” rischia di perdere uno sponsor. Rischia parte dei suoi incassi. Con un post sbagliato, un calciatore, o comunque uno che fa uno sport di squadra, rischia invece di mettere in crisi la sua società. Di bruciare milioni. La differenza è enorme».
Per quello raramente ci sono uscite polemiche o comunque scomode da parte di chi frequenta uno spogliatoio?
«Esatto. Non posso dire che lo fanno tutte, ma ormai molte, moltissime, società al mondo, al momento della stipula di un contratto presentano al nuovo tesserato un regolamento da seguire per l’utilizzo dei social».
Questo puoi pubblicarlo, questo no?
«Dirò di più: prima di finire online, ogni post non attinente alla vita privata deve essere autorizzato dal reparto comunicazione di una società. Si vuole evitare ogni problema».
Mettere il bavaglio è giusto?
«A parte l’imbarazzo con eventuali partner commerciali, i club, grandi o piccoli, vogliono evitare che messaggi sbagliati vadano a minare l’armonia di un gruppo. E nel gruppo inserisco anche lo staff tecnico e quello dirigenziale. Si rischiano guerre interne. Al massimo “passa” qualche like o cuoricino, ma di critiche esplicite o messaggi netti non se ne vedono: non sono permessi».
Così un giocatore che ha il classico “mal di pancia” può solo andare in direzione a lamentarsi...
«Che, permettetemi, trovo giusto, invece che rendere pubblico il proprio malessere. Qualche spiffero comunque esce sempre. Non “scrivono” i calciatori? Lo fanno i loro agenti. Quelli che, guarda caso, non hanno contratti vincolanti con i club».









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