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"Attacco preventivo" Nato contro la Russia: cos'è e perché fa discutere (non solo a Mosca)

Le parole dell'ammiraglio Cavo Dragone non hanno creato malumori solo al Cremlino, com'era comprensibile, ma anche in Italia
IMAGO / Orange Pictures
"Attacco preventivo" Nato contro la Russia: cos'è e perché fa discutere (non solo a Mosca)
Le parole dell'ammiraglio Cavo Dragone non hanno creato malumori solo al Cremlino, com'era comprensibile, ma anche in Italia

BRUXELLES - Le parole pronunciate dall'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone al Financial Times, su una Nato più «aggressiva» nei confronti della Russia, stanno facendo molto discutere. A Mosca, ovviamente, ma anche tra i membri dell'Alleanza atlantica.

«Stiamo studiando tutto sul fronte informatico, siamo in un certo senso reattivi. Essere più aggressivi o proattivi invece che reattivi è qualcosa a cui stiamo pensando» ha dichiarato il presidente del Comitato militare della Nato al quotidiano economico. A fare i titoli di siti e giornali è stato invece il riferimento a un «attacco preventivo» nel contesto della guerra ibrida. «Potrebbe essere considerato un’azione difensiva», anche se «è più lontano dal nostro normale modo di pensare».

I tre pilastri - Il focus dell'intervento di Cavo Dragone è sui tre pilastri della «prevenzione e deterrenza» contro disinformazione, attacchi hacker e incursioni di droni. Li ha illustrati martedì il quotidiano italiano Repubblica. Per contrastare una situazione di cyber-guerra - che potrebbe bloccare le infrastrutture di telecomunicazioni, ma anche quelle sanitarie e i trasporti - la Nato punta a individuare la fonte della minaccia e a neutralizzarla, utilizzando strumenti digitali in un contesto di "contro-hackeraggio".

Per prevenire la possibile manipolazione dell'opinione pubblica in vista delle elezioni che si terranno nei prossimi mesi in molte nazioni, l'Alleanza atlantica vorrebbe bloccare all'origine ogni tentativo d'interferenza. La soluzione alle invasioni di droni non identificati (nei paesi non direttamente confinanti con la Russia) è molto più semplice, anche se radicale: l'abbattimento. Per chi si trova a condividere una frontiera con la Federazione russa, si ricorrerà al tracciamento della traiettoria.

La reazione di Mosca - La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha parlato di «un passo estremamente irresponsabile, che dimostra la disponibilità dell'Alleanza a proseguire verso l'escalation». Mosca considera le dichiarazioni dell'ammiraglio «un tentativo deliberato di indebolire gli sforzi per risolvere la crisi ucraina. Chi rilascia tali dichiarazioni dovrebbe essere consapevole dei rischi e delle potenziali conseguenze, anche per gli stessi membri dell'Alleanza».

Il malumore italiano - C'è malumore non solo al Cremlino, ma anche a Roma. I toni di una dichiarazione pubblica della Lega hanno una forte somiglianza con quelli di Zakharova. «Mentre Usa, Ucraina e Russia cercano una mediazione, gettare benzina sul fuoco con toni bellici o evocando “attacchi preventivi” significa alimentare l’escalation. Non avvicina la fine del conflitto: la allontana. Serve responsabilità, non provocazioni» dice il partito di Matteo Salvini. Anche l'eurodeputata di sinistra Ilaria Salis ritiene «gravi e inopportune» le affermazioni di Cavo Dragone e lo accusa di «soffiare sul fuoco dell’escalation bellica. Mi sono formata politicamente ai tempi dell’opposizione alle guerre di George W. Bush, e il principio resta immutato: nessun attacco “preventivo” è mai difensivo, l’aggressività militare non è mai giustificabile».

Il governo italiano minimizza, ma fonti de "La Stampa" affermano che sia stato chiesto a Cavo Dragone se le sue frasi (pronunciate a metà ottobre anche se pubblicate lunedì) saranno smentite. E ciò non avverrà. La posizione ufficiale di Roma è affidata alle parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani: «È stata un’intervista dell’ammiraglio Cavo Dragone, dobbiamo tutelare i nostri interessi, proteggere la nostra sicurezza e prepararci anche a difenderci da una guerra ibrida, ma non farei una polemica su questo». Ma pare che la posizione in seno all'esecutivo di Giorgia Meloni sia: «Se serve, le cose si fanno, non si dicono».

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