Photoshop, slogan a gogò, linguaggio "gggiovane"... viaggio nella giungla della comunicazione elettorale con l'esperto Ferrise che dice: «La sincerità, assieme alla semplicità, paga sempre»
BELLINZONA - Fantasia al potere? Lo slogan, che vestiva perfetto nel ‘68, riferito alla campagna elettorale 2019 si trasforma in uno sbrindellato “quarantotto”. Come sulla scansia di un supermercato ogni candidato cerca di mettersi in bella mostra con il proprio cartellino. L’elettore comprerà? Bella domanda. Di sicuro i “santini” fanno discutere la rete, ad esempio arci-commentato è in queste ore quello dell’Udc Paolo Pamini che sorridente annuncia: “Difendo chi paga, non chi pretende”.
Un freccia sola al bersaglio - La carta assorbe tutto, ma ci sono errori assolutamente da evitare spiega Michel Ferrise, esperto di comunicazione pubblicitaria e titolare dell’omonima agenzia: «Innanzitutto il messaggio elettorale deve essere uno solo. Capita invece ancora oggi di vedere santini traboccanti di slogan. Con l’inevitabile conseguenza che la gente non capisce cosa uno voglia dire».
Abito su misura - Ma ancora più importante, ed è la seconda regola di Ferrise, «il messaggio deve rappresentare il candidato, che deve sentirselo addosso come un vestito. Uno slogan è una promessa all’elettore. Quindi mai esagerare perché quattro anni dopo la tua parola potrebbe essere usata contro di te». Promettere dunque secondo le proprie forze: «Piuttosto che esagerare, meglio non farne se il candidato non ha uno slogan che gli calza a pennello».
Ironia sì, ironia no? - La politica è (o meglio dovrebbe essere) una cosa seria, confezionata però in modo accattivante. «Sono dell’idea che anche in questo ambito bisogna trasmettere un po’ di simpatia. Sono contrario ai candidati in giacca e cravatta, quando nella vita di tutti i giorni si vestono diversamente. L’immagine deve innanzitutto essere rappresentativa, perché tu, anche se è brutto dirlo, stai vendendo un prodotto. E non devi trasmettere quello che non sei».
Spesso poca sincerità - L’errore che Ferrise osserva più di frequente è «la mancanza di sincerità nei messaggi. Il politico deve essere onesto. Quasi tutti cercano invece di infinocchiare la gente con promesse che non possono mantenere. Piuttosto meglio non farne». Altra regola d’oro, «il messaggio non può tradire le idee del partito di riferimento. Invece capita di osservare spesso candidati fuori contesto».
Mai fotoshopparsi - La vanità è un sentimento umano, ma un candidato non è un modello di Vogue o Vanity Fair. Anche qui il consiglio dell’esperto è di mostrarsi per quello che si è. «Sono contrarissimo all’utilizzo di photoshop perché anche nell’immagine deve trasparire la sincerità. Altrimenti stai dicendo una bugia. Quindi niente trucchi per cancellare rughe e capelli bianchi». Mai scordare che il santino è un documento d’identità per chiedere fiducia. In breve: «Essere te stesso paga sempre».
Quei finti giovani - Altro punto centrale la scelta del registro. Quale linguaggio usare? In questa campagna spuntano cancelletti #, spesso disseminati senza criterio. Pure qui Ferrise invita alla prudenza: «Basta pensare all’hashtag #Facciamolo coniato da un partito e all’ironia che ne è seguita in rete». Inoltre, continua l’esperto di comunicazione, «in bocca a quanti politici sono credibili questi hashtag? Mi sembra spesso una forzatura per mostrare di essere innovativi e "gggiovani". Ma quanti politici sanno cosa è un hashtag? Decisamente meglio la semplicità».