«Il futuro? Ti arriva addosso come uno schiaffo. Ma sono positivo»

"E se domani..." è lo spettacolo che Giorgio Panariello porta in scena sabato sera al LAC
LUGANO - Giorgio Panariello ha visto il futuro e ha una missione: spiegare all'umanità in quale direzione ci stiamo avviando. Lo fa, con un interessante escamotage narrativo, in "E se domani...", il suo nuovo spettacolo comico che approda sabato 15 novembre alle 20 nella Sala Teatro del LAC di Lugano.
È uno show che mescola trovate tecnologiche ai personaggi di culto della lunga carriera dell'artista toscano. Ma sarà il caso che sia lui a spiegarci meglio di che cosa si tratta.
Siamo pronti a viverlo, questo futuro che ha immaginato?
«Il problema è proprio questo: il futuro arriva talmente veloce che non so se siamo pronti ad affrontarlo. Partiamo dal presupposto che futuro e progresso vanno a braccetto, no? Prima le innovazioni sono venute piano piano: il computer, i portatili... La lavatrice è nata nell'Ottocento, ma mia nonna la prima se l'è comprata nel 1984... C'è bisogno di un lento perfezionamento, che negli ultimi dieci anni è saltato. Tutto ci arriva addosso a una velocità incredibile. La mia paura è il non riuscire a stare al passo con i tempi e con il futuro che ti arriva addosso come uno schiaffo. Ma sono molto positivo».
A tal proposito: per alcuni l'intelligenza artificiale è una grande opportunità, per altri invece è uno spauracchio. Qual è il suo parere?
«Siamo noi che "nutriamo" l'intelligenza artificiale e mi sembra difficile che possa prendere autonomamente il controllo, come molti temono che possa succedere. Oppure che possa sostituirsi all'uomo in certe funzioni. Io ho provato a usarla per aiutarmi nei testi, ma dice delle c...e incredibili: prende delle cose, fa un accrocchio, inventa, non ha fantasia. Insomma, la vedo in maniera positiva, a patto che, parallelamente allo sviluppo dell'intelligenza artificiale, si sviluppino gli anticorpi e che ci sia un controllo. Come quello che ci deve essere sui social, dove non può più accadere che si scriva qualsiasi infamità nei confronti delle persone. La mia paura non è tanto la tecnologia o l'innovazione, quanto chi la deve controllare e accompagnare il suo percorso».
Parlando appunto di tecnologia: nello spettacolo se ne fa un buon uso.
«Sì, c'è questo grande schermo centrale, come fosse un gigantesco tablet, che utilizzo per far vedere immagini e con il quale interagisco. È trasparente e dà la possibilità di vedere un po' un mondo alla "Minority Report", come funzionalità. Tecnologicamente è molto semplice, ma molto efficace».
Quale spazio pensa che avrà la risata nella società del futuro? Saremo sempre capaci di ridere?
«Assolutamente sì. Il cinema forse subirà qualche variazione, con attori che verranno messi nei film con l'intelligenza artificiale, senza nemmeno andare sul set. Ma in teatro, in spettacoli come il mio, la gente vorrà sempre essere partecipe. Capiscono che non è soltanto una questione di essere pubblico e basta: si diventa co-protagonisti quando a ogni battuta risponde una risata. E gli spettatori vogliono sentirsi così».
Cambieranno magari le cose che ci faranno ridere...
«Quello avverrà naturalmente e accadrà con i temi che ho anticipato con questo spettacolo. Mentre oggi prendiamo in giro le marche delle automobili, per esempio, nel futuro faremo lo stesso con le macchine volanti o i robot».
Lei ha affrontato il cinema, la televisione, la radio, le temutissime feste di piazza... Cosa rappresenta, invece, il teatro all'interno del suo percorso artistico?
«Credo che ognuno di noi nasca con dentro il gene di qualcosa. Leonardo Pieraccioni è sempre stato lì a fare i film, ed evidentemente aveva dentro di sé il gene del cinema. Carlo Conti ha sempre voluto fare il presentatore, il dj alla radio. Si nasce un po' tutti artisti, ma ognuno poi ha dentro di sé un posto sicuro. Il mio l'ho identificato con il teatro. Qui sto bene, al contrario della televisione che mi dà sempre un po' di ansia perché ci sono gli ascolti, il successo non dipende solo da te... A teatro hai il controllo: se vuoi puoi fare meglio, puoi sistemare le cose. E poi ci sono le risate, gli applausi, hai un riscontro immediato, lo capisci subito come vanno le cose».
Ha detto di avere una playlist musicale che ascolta prima di ogni spettacolo: cosa sta sentendo in questo periodo?
«Ho lavorato un paio d'anni con Marco Masini e mi ha aperto un mondo, anche musicale. Ascolto i Cigarettes After Sex, per esempio. Oppure ho riscoperto i Pink Floyd: li vedo molto nello spazio, anche se lasciamo perdere il modo in cui usavano per arrivarci (ride, ndr). Ultimamente sto ascoltando la musica degli anni Novanta, i Duran Duran e altri. Mi permettono - è una cosa mia, psicologica - di rimanere con i piedi per terra, visto che parlo di Marte e della Luna. Questo è uno spettacolo, parafrasando la strofa di una canzone di Pierangelo Bertoli, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro».
Come trova il pubblico della Svizzera italiana?
«Ho lavorato anche con il pubblico di etnia tedesca, anche se chiaramente c'erano molti italiani. Ricordo che la prima volta che mi hanno detto "Lugano" per me era l'estero. "Cosa gli racconto, a Lugano?". Invece devo dire che è un pubblico come quello di giovedì sera, a Legnano, che conosco bene avendo portato lì ogni spettacolo che ho scritto negli ultimi vent'anni».
Ci sono ancora alcuni biglietti disponibili. Prevendita sul sito del LAC.




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