L’accusa ha chiesto fino a tre anni e dieci mesi di carcere nei confronti dei responsabili della IPUS di Chiasso
LUGANO - «La vicenda IPUS ha toccato centinaia di giovani che seguivano un sogno, ma che si sono ritrovati in un incubo». Ha esordito con queste parole la procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, che stamani ha preso la parola alle Criminali nell’ambito del processo nei confronti dei responsabili dell’università fantasma di Chiasso. E ha chiesto una condanna a tre anni e dieci mesi di carcere per l’imputato sessantenne e a tre anni di detenzione (senza opporsi, in questo caso, a un’eventuale sospensione) per la quarantottenne. Oltre alla loro espulsione dal paese per almeno dieci anni. Per entrambi ha parlato di «mancanza di scrupoli».
«Quando il Ministero pubblico ha ricevuto la prima denuncia, non ci si aspettava che emergessero dei fatti così gravi». Da una parte la promessa di titoli accademici che non erano previsti, dall’altra i reati finanziari per la mancanza di una contabilità e per all’incirca un milione di franchi prelevato dai conti dell’istituto chiassese e utilizzato per questioni personali. E a inchiesta ormai in corso, i due imputati avevano inoltre avviato un’attività analoga nei Grigioni, la UNIPOLISI.
«L’imputato sessantenne ha sempre cercato di far ricadere le colpe su altre persone. E ancora oggi si dichiara vittima» ha sottolineato l’accusa. «È una persona che pensa di essere al di sopra della legge, che pensa di potersi prendere gioco delle autorità». Anche la quarantottenne, a mente della procuratrice pubblica, «tuttora non ha assunto le proprie responsabilità».
Il rappresentante degli accusatori privati, l’avvocato Ivan Paparelli, ha avanzato una pretesa di risarcimento per le rette scolastiche e le spese legali sostenute dagli studenti.