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LUGANOAlptransit: «Era un consulente senza potere decisionale»

18.08.17 - 12:20
Si è concluso il processo sulla morte di Pietro Mirabelli, la sentenza è attesa nelle prossime settimane
TiPress
Alptransit: «Era un consulente senza potere decisionale»
Si è concluso il processo sulla morte di Pietro Mirabelli, la sentenza è attesa nelle prossime settimane

LUGANO - L’ingegnere addetto alla sicurezza era un consulente, non il responsabile dell’incolumità dei lavoratori. È questa la tesi della difesa dell'ultimo imputato al processo per la morte del minatore Pietro Mirabelli, avvenuta il 22 settembre 2010 nel cantiere Alptransit di Sigirino. L’avvocato difensore dell’ingegnere, Sebastiano Pellegrini, ha sottolineato le condizioni contrattuali del suo assistito, impiegato ai tempi presso una società esterna, a cui la Condotte Cossi aveva affidato un incarico di consulenza sulla sicurezza e sulla salute del lavoro. «Il suo ruolo era di mera consulenza senza potere decisionale», ha detto il legale. A dover tutelare l’incolumità dei lavoratori e a doverne eventualmente rispondere dal punto di vista penale sarebbe quindi il datore di lavoro.

All’ingegnere, uno svizzero di 50 anni, è imputata anche la mancata verifica della formazione della vittima, cosi come delle altre maestranze. «Tutto il personale aveva seguito la formazione di base prima di accedere al cantiere», ha spiegato Pellegrini. Per i corsi specifici riguardanti la prevenzione, invece, si era deciso di distribuire delle istruzioni di lavoro scritte, specifiche per ogni singolo compito e per ogni gruppo di lavoratori, in base ai rispettivi incarichi. Inoltre l’addetto alla sicurezza non aveva voce in capitolo nemmeno riguardo al personale: «Non interveniva nei colloqui di assunzione e non verificava le qualifiche dei candidati».

«Il fatto che non bisognasse lavorare sotto al braccio in funzione era talmente elementare da essere noto a tutti», ha aggiunto il difensore. Spiegando che anche chi non era solito a lavorare vicino al Jumbo lo sapesse, tanto che proprio sulla macchina perforatrice c’è un cartello che vieta espressamente questo comportamento.

La notte della tragedia, l’ingegnere non era presente in cantiere, l’avvocato Pellegrini non si spiega come si possa pretendere che impedisse a qualcuno di mettersi in pericolo andando a lavorare sotto al braccio meccanico della perforatrice. Così, ha aggiunto, come non era sua competenza vigilare sullo spessore dello spritz, la gettata di calcestruzzo di protezione, o sull’esecuzione di queste fasi del lavoro.

L’avvocato Pellegrini ha chiesto il proscioglimento dell’ingegnere dall’accusa di omicidio colposo, perché «oltre che non contrattualmente previsto, per l’addetto sarebbe stato umanamente impossibile sorvegliare in ogni momento in cantiere la sicurezza sul lavoro». Ha aggiunto che ascoltando le tesi dell'accusa, ai difensori l'ingegnere addetto alla sicurezza appare come «un capro espiatorio».

Il dibattimento si è concluso, il giudice Mauro Ermani emetterà la sua sentenza nelle prossime settimane per iscritto, comunque entro il 20 di settembre, per evitare la decorrenza della prescrizione a sette anni dal fatto. Ricordiamo che il procuratore generale John Noseda ha chiesto per tutti e tre gli imputati la condanna per omicidio colposo, per la quale rischiano una pena in aliquote giornaliere.

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