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GUERRA COMMERCIALE

«Non abbiamo venduto la nostra anima al Diavolo»

In cambio della riduzione dei dazi, la Svizzera si impegna a seguire le regole di Washington in diversi settori. Il parere di Guy Parmelin
Tamedia/Simon Boschi
Il consigliere federale Parmelin si è espresso in un'intervista sull'accordo doganale con l'amministrazione Trump – la Svizzera non ha «venduto la propria anima al diavolo», assicura il ministro dell'economia nel colloquio con 24 Heures.
«Non abbiamo venduto la nostra anima al Diavolo»
In cambio della riduzione dei dazi, la Svizzera si impegna a seguire le regole di Washington in diversi settori. Il parere di Guy Parmelin

BERNA - L’accordo è cosa fatta, l’economia svizzera tira un sospiro di sollievo: dopo una maratona negoziale, il Consigliere federale Parmelin è riuscito a far sì che i dazi punitivi statunitensi sulle esportazioni svizzere negli Stati Uniti scendessero al 15% (dal precedente 39%).

La decisione dell’amministrazione Trump non è però dovuta solo a buona volontà: la Svizzera si è impegnata a investire massicciamente negli Stati Uniti e dovrà adottare anche diverse regole e standard statunitensi in futuro. Al suo ritorno Parmelin si è espresso in un'intervista con il Tages-Anzeiger sull’accordo e sulle trattative precedenti.

Arriveranno polli al cloro e standard di sicurezza americani? - Le 29 condizioni complessive che la Svizzera dovrà rispettare in futuro sono molto controverse: si teme, ad esempio, che sia necessario importare anche i polli al cloro statunitensi e che l’adozione degli standard di sicurezza americani possa rappresentare un rischio soprattutto per chi non guida. Di fronte a queste preoccupazioni, il ministro dell’Economia tenta di rassicurare nell’intervista.

«Non abbiamo venduto la nostra anima al Diavolo», afferma Parmelin. Per quanto riguarda i polli al cloro, ad esempio, si potrebbe prevedere un’etichettatura come già avviene per la carne statunitense trattata con ormoni: questa è chiaramente etichettata e ogni anno se ne consumano comunque 250 tonnellate. «Ma questa è una discussione politica che deve ancora essere affrontata».

L’accordo non è giuridicamente vincolante, ma è solo una base per ulteriori negoziati. Si sta elaborando un mandato del Consiglio federale che dovrà essere approvato anche dal Parlamento e dai Cantoni. «È vero, ci sono determinate aspettative da parte degli Stati Uniti. Non siamo ingenui. Ma anche la Svizzera ha aspettative: vogliamo, ad esempio, eccezioni ai dazi per le esportazioni di formaggio», aggiunge Parmelin.

In attesa di una soluzione pragmatica - Il fatto che la svolta nelle trattative sia arrivata solo dopo la visita di diversi amministratori delegati svizzeri nello Studio Ovale, bisogna accettarlo – così come che, per ottenere il favore di Trump, siano stati necessari regali come un lingotto d’oro inciso e un orologio da tavolo Rolex dorato. «Sto ancora aspettando una soluzione pragmatica e realistica da certi ambienti verdi e socialisti», replica Parmelin a muso duro a chi parla di corruzione. Prima o poi bisogna fare realpolitik, aggiunge l'esponente democentrista – il che significa, evidentemente, anche dover omaggiare un presidente in carica degli Stati Uniti con regali per ottenere il suo favore.

Alla domanda se il governo svizzero abbia bisogno di un collegamento migliore con Washington in seguito alla visita dei CEO, il Consigliere federale risponde negativamente: «Abbiamo regolari contatti con i grandi amministratori delegati e le associazioni. All’idea che la Svizzera possa anche ingaggiare dei lobbisti per fare politica a Washington nell’interesse della Confederazione, però, non si oppone categoricamente: «Non ho timore di contatti, anche se è un tema delicato», ha dichiarato Parmelin.

Amministrazione Trump e coerenza – una contraddizione? - Anche un punto contenuto nella dichiarazione, secondo cui vanno rafforzate «le attuali intese in materia di controlli alle esportazioni statunitensi e sanzioni», preoccupa alcuni politici: temono che così la Confederazione dovrà adottare in futuro le sanzioni degli Stati Uniti. Parmelin respinge questa preoccupazione «almeno oggi» – ma ammette anche che l’atteggiamento dell’amministrazione Trump potrebbe cambiare rapidamente: «Potrebbe essere che un giorno arrivino delle richieste. Sappiamo, ad esempio, che gli Stati Uniti stanno affrontando una lotta di potere con la Cina».

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