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L'INTERVISTA«I miei record non esistono»

07.05.24 - 10:30
Reinhold Messner, rockstar silenziosa: «Non c'erano soldi, andai dal Sud Tirolo a Courmayeur con la lambretta»
Imago
«I miei record non esistono»
Reinhold Messner, rockstar silenziosa: «Non c'erano soldi, andai dal Sud Tirolo a Courmayeur con la lambretta»
«Da piccolo senti che potrai fare qualsiasi cosa. A me il mondo ha già dato tutto».
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LUGANO - Più si sale, più si fa fatica, più si soffre e più si entra in una sorta di dimensione mistica. Affrontare una montagna, provare a scalarla, è una sfida con sé stessi, intima.

Chi si mette alla prova su una parete impegnativa o cerca di aprire una nuova via sente solo silenzio ed emozioni. Per quasi tutti è così. Il “quasi” è riservato a Reinhold Messner, vera e propria rockstar tra gli arrampicatori. Colui il quale, con le sue imprese, gioie e immani sofferenze, dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso ha reso popolari e ambìti i giganti della terra. Colui il quale, dalla fine degli anni ‘60 è sempre stato, suo malgrado, sotto la luce dei riflettori.

«Il clamore e il rumore per me sono stati un peso - ci ha raccontato proprio Messner, che il 12 maggio sarà al Palazzo dei Congressi con lo spettacolo “Nanga Parbat. La mia montagna del destino” - Mi sono sempre battuto perché l’arrampicata fosse un’esperienza personale. Mi sono sempre mosso alla ricerca del nascosto, del mistico. Per me l’alpinismo era, è, la tensione tra la natura umana e la natura grande. E quello che rimane alla fine è il rispetto per quest’ultima. Per la sua enormità e bellezza. Per questo, per me, tutti i record che mi vengono attribuiti non esistono. Quello della conquista di tutti gli “ottomila”, l’Everest, il Nanga Parbat… è stato tutto costruito da chi mi ha seguito, dai giornalisti. Quanto è stato filmato, scritto e detto fa parte di una narrativa che non mi appartiene troppo». 

Cosa invece non manca?
«Le riflessioni legate a questo mondo. Una sorta di eredità che con mia moglie, attraverso la Messner Mountain Heritage, stiamo cercando di lasciare. Stiamo facendo conferenze in molti Paesi per cercare di trasmettere i valori dell’attivismo, per cercare di far comprendere a quante più persone possibile cos’è realmente la montagna».

Il Messner scalatore è stato essenziale: si muoveva con lo stretto equipaggiamento necessario. Una sorta di battaglia allo spreco ante litteram.
«Quello della rinuncia è anche il concetto del mio ultimo libro. Ma in realtà è nato come necessità. Fin da ragazzo, non c’erano infatti i soldi per organizzare, ma neppure pensare, delle spedizioni. Noi, semplicemente, partivamo da casa nostra, a piedi, e andavamo. Sceglievamo le pareti, le scalavamo e poi la sera tornavamo indietro. Non c’era la possibilità di avere qualcosa di più. Un in più che per me è diventato superfluo. Altri esempi? A 20 anni scalai il Monte Bianco. Non avevo modo di comprare una macchina e così, dal mio Sud Tirolo, andai fino a Courmayeur con la lambretta. L’impresa, all’epoca, fu quasi più il viaggio per arrivare a destinazione che l’ascesa. La prima spedizione per un “ottomila” la feci poi solo perché organizzata da un manager tedesco, bravissimo a pianificare ma non ad arrampicarsi. Infatti non aveva idea di quello che noi facevamo sulle pareti. Solo con questa filosofia della rinuncia, chiamiamola così, negli anni ho potuto portare avanti la mia attività».

Rinuncia fa rima con rispetto della natura.
«Qualcosa che è sempre più difficile trovare. Oggi per una spedizione verso una cima si muovono decine di persone, con equipaggiamenti enormi. Chi vuole salire paga tanto, anche 100-200’000 euro, e segue semplicemente una pista, senza fare fatica e senza badare troppo a quello che lo circonda. Chi fa arrampicata su roccia, la maggior parte almeno, la fa nelle palestre attrezzate. È bellissimo ma non ha nulla a che vedere con la montagna».

Le grandi imprese sono state accompagnate da fiumi di adrenalina. Finite quelle?
«Ho fatto avventure di un certo livello fino ai sessant’anni. Poi ho capito che era meglio ritirarsi lentamente. Io alpinista, considero l’alpinismo un’arte, quella di rimanere sempre in equilibrio tra la possibilità di sopravvivere e quella di morire, tra la vita e la morte. Quindi, rallentando, mi sono dedicato ad altro. Alle montagne sacre - “giri” che, come quello del Kailash, ancora faccio -, allo studio, alle conferenze e ai musei. Quanto costruito in tanti anni è tutto racchiuso nel Messner Mountain Museum, che è diventato autosufficiente. Da scalatore ho spesso rischiato di morire, con i musei ho solo rischiato di perdere tanti soldi».

Negli anni ha sempre avuto un occhio di riguardo per le popolazioni che abitano le valli attorno al Nanga Parbat.
«Quelle genti mi hanno salvato la vita. Sto solo cercando di ringraziarle, di dar loro qualcosa indietro. Quelle persone hanno un’empatia e un’umanità fuori dal comune ma vivono in un contesto difficile, dove il cambiamento climatico è di stretta attualità. Hanno autonomia ma vivono di un’agricoltura ferma a 500 anni fa. E per far sì che quei luoghi non si svuotino, che non ci sia una migrazione, dobbiamo tutti impegnarci. Che alternative ci sono? I più giovani potrebbero raggiungere le grandi città, è vero, ma per fare che? Gli schiavi forse. Per questo motivo, appena ne ho avuto la possibilità, con la mia fondazione mi sono speso per la costruzione di scuole. Ne abbiamo edificate quattro e lì i più piccoli possono imparare a leggere, scrivere e fare qualche conto. Non è molto, lo so, è una goccia in un mare, ma è pur sempre qualcosa. Se non ci si aiuta non c’è speranza».

Nel Messner 80enne di oggi è rimasto un po’ del Reinhold bambino che guardava le montagne e sognava?
«Uscire e camminare in montagna mi dà ancora molta gioia. Lo faccio per me, per mia moglie e anche per il nostro piccolo cane, che ci costringe a star fuori da casa. Faccio anche delle arrampicate, ma ormai senza più rischiare. Ecco, proprio quelle che facevo quando avevo 5-6 anni. È quasi un ritorno alle origini. Ma in fondo questo è normale: la vecchiaia ti riporta ai problemi che avevi da bambino. L’unica differenza è che da piccolo senti che crescerai, che migliorerai, che potrai fare qualsiasi cosa. A me il mondo ha già dato tutto».

I ticket per lo spettacolo sono disponibili su biglietteria.ch

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COMMENTI
 

gp46 1 sett fa su tio
Ottima intervista, risposte condite da diverse piccole verità che il mondo odierno cerca quasi di nascondere, per sentirsi forse meno in colpa.
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