L'inferno nella metropolitana di Riad

Amensty International denuncia condizioni di lavoro disumane nella capitale saudita.
Amensty International denuncia condizioni di lavoro disumane nella capitale saudita.
RIAD - I lavoratori migranti impiegati nella costruzione della nuova metropolitana di Riad sono stati vittime, per oltre dieci anni, di gravi abusi: commissioni di reclutamento illegali, salari bassissimi, orari estenuanti e condizioni di lavoro pericolose. Lo denuncia Amnesty International in un nuovo rapporto.
Il progetto, considerato una delle infrastrutture simbolo dell’Arabia Saudita e già destinato a ulteriori ampliamenti, è stato realizzato da grandi imprese saudite e internazionali sotto la direzione del governo. Ma dietro l’immagine moderna dell’opera, è stato documentato un sistema che ha messo a rischio la salute e i diritti di migliaia di migranti.
Commissioni illegali e indebitamento già prima della partenza
Amnesty ha raccolto testimonianze di 38 lavoratori provenienti da Bangladesh, India e Nepal, assunti tra il 2014 e il 2025. La quasi totalità riferisce di aver pagato tra 700 e 3500 dollari ad agenzie di reclutamento nei Paesi d’origine, nonostante la legge saudita vieti i costi di assunzione a carico dei lavoratori. Molti si sono indebitati pesantemente, vendendo beni di famiglia pur di ottenere un impiego che, in alcuni casi, garantiva uno stipendio base di appena 266 dollari al mese.
Salari irrisori, turni massacranti e caldo estremo
Una volta in Arabia Saudita, numerosi lavoratori percepivano meno di 2 dollari l’ora, spesso nei ruoli più umili. Quasi tutti superavano le 60 ore settimanali, spinti da salari così bassi da rendere gli straordinari indispensabili per sopravvivere. Il tutto in un clima definito dagli stessi operai come «infernale», con temperature estive costantemente sopra i 40°C. Il divieto di lavorare all’aperto nelle ore più calde, previsto dalla legge saudita, si è rivelato del tutto insufficiente.
Molti raccontano di pressioni a lavorare comunque, anche in condizioni di rischio. Altri riferiscono di passaporti confiscati, alloggi sovraffollati, cibo scadente e discriminazioni basate sulla mansione ricoperta.
«Un sistema che sacrifica i diritti umani»
«Dietro la facciata moderna della metropolitana di Riad si nasconde un decennio di sfruttamento che ha messo a dura prova i diritti dei lavoratori migranti», afferma Marta Schaaf di Amnesty International. Secondo l’organizzazione, le autorità saudite non hanno saputo far rispettare le norme esistenti, permettendo che il sistema della kafala continuasse di fatto a limitare la libertà dei lavoratori e facilitare gli abusi.
Responsabilità delle aziende e dei Paesi d’origine
Amnesty punta il dito anche contro le imprese coinvolte, comprese grandi multinazionali, accusate di non aver svolto una due diligence adeguata in un contesto notoriamente ad alto rischio. L’organizzazione sottolinea inoltre come la repressione dei diritti umani in Arabia Saudita – tra cui l’assenza di libertà sindacali – renda difficile ogni forma di tutela per i lavoratori.





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