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CANTONEDi nuovo a processo per una sega usata come arma: sentenza a fine agosto

17.08.20 - 10:10
Per l'imputato - già condannato per partecipazione alla 'Ndrangheta - non si trattava di un oggetto per fare del male
Archivio Tipress
Fonte ATS
Di nuovo a processo per una sega usata come arma: sentenza a fine agosto
Per l'imputato - già condannato per partecipazione alla 'Ndrangheta - non si trattava di un oggetto per fare del male

BELLINZONA - Un italiano condannato nel 2018 a tre anni e otto mesi di carcere per partecipazione alla 'Ndrangheta compare oggi per la seconda volta davanti al Tribunale penale federale (TPF). La pubblicazione della sentenza è prevista per il 31 agosto. La difesa ha già annunciato che la impugnerà.

La corte con sede a Bellinzona deve pronunciarsi solo su un punto alquanto secondario: la ridefinizione giuridica di una sega ritenuta un'arma. Il Tribunale federale (TF) aveva infatti accolto solo parzialmente il ricorso dell'imputato, confermando in larga parte le decisioni dell'istanza inferiore, in particolare l'accusa principale di partecipazione e sostegno a un'organizzazione criminale.

I giudici della Corte suprema con sede a Losanna hanno però ritenuto che il seghetto non poteva essere qualificato come arma e che non è determinate il fatto che l'oggetto, descritto come «un filo metallico dotato di due anelli alle sue estremità», possa essere usato per ferire.

Davanti al TPF di Bellinzona l'imputato - un calabrese di 63 anni domiciliato nel Seeland bernese - aveva spiegato che era un attrezzo acquistato nel rispetto della legge su un sito specializzato in articoli da campeggio, e non si trattava di un oggetto concepito per far del male, come affermato dall'accusa che lo aveva sequestrato in base alle legge sulle armi.

L'imputato, un padre e nonno calabrese, era stato giudicato colpevole di aver partecipato, dal 2003 al 2011, alle attività delle sezioni locali della 'Ndrangheta di Giussano e Seregno, in Lombardia, dove era conosciuto come "Cosimo lo Svizzero". Stando al TPF, l'uomo ha in particolare acquistato armi in Svizzera e le ha trasportate di persona in Italia. Non è invece stata provata la sua partecipazione a sanguinose azioni della mafia calabrese a Torino, risalenti agli anni 2003 e 2004. Al suo domicilio, al momento dell'avvio delle indagini nell'agosto del 2015, erano state ritrovate numerose armi, che sono state sequestrate. Fra cui il seghetto.

Oggi al TPF, il procuratore federale ha chiesto la conferma della precedente condanna. L'avvocato della difesa ha invece chiesto una significativa riduzione della pena - 40 aliquote giornaliere di 80 franchi più una multa di 1'000 franchi - sostenendo che non c'erano prove per la maggior parte delle accuse contro il suo cliente. Tra l'altro, non c'era nessun testimone che potesse confermare che l'imputato avesse fatto la guardia armata di un campo di canapa da marijuana nel cantone di Berna. La difesa ha quindi già annunciato ricorso.

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