Le piattaforme cinesi spopolano nella Svizzera italiana. Negozianti del territorio preoccupati. La segretaria dell'ACSI: «Politica immobile».
LUGANO - Svizzeri fan degli acquisti sulle piattaforme online cinesi. Con i ticinesi in prima linea. Secondo un sondaggio condotto da Comparis la percentuale di chi ha fatto almeno un acquisto su Temu, Shein, Aliexpress e Wish nel 2024 è pari al 69% nella Svizzera italiana, contro il 57% della Romandia e il 19% della Svizzera tedesca. Un primato che non piace ad Antonella Crüzer, segretaria generale dell'Associazione consumatrici e consumatori della Svizzera italiana (ACSI).
Qual è il vostro sentimento di fronte a questo dato?
«Non siamo sorpresi. Il potere d'acquisto dei ticinesi si è deteriorato negli ultimi anni. Gli stipendi sono più bassi rispetto al resto della Svizzera e queste piattaforme appaiono come una soluzione facile e comoda per spendere di meno».
I piccoli negozianti attivi sul territorio sono scoraggiati. Situazione irreversibile?
«A noi spiace che la politica non faccia nulla. Le autorità non stanno reagendo di fronte a questa concorrenza sleale. Anzi, il Parlamento sta addirittura annacquando la legge sulla concorrenza, aprendo ancora di più le porte a un libero mercato che penalizza chi è attivo qui».
Le viene in mente una soluzione concretizzabile a breve termine?
«Bisognerebbe innanzitutto obbligare queste aziende ad avere una sede su suolo nazionale. Perché nessuno si muove?»
Il fatto che manchi una sede in Svizzera è un problema anche per altre questioni.
«Esatto. Se uno ha un reclamo da fare, non sa a chi rivolgersi. C'è chi ordina compulsivamente questa merce e poi si accorge che la qualità è bassa. Ma è troppo tardi per contestare qualsiasi cosa. Noi riceviamo segnalazioni per problemi di resi, pacchi mai arrivati, aspettative non rispettate. I clienti possono urlare finché vogliono, ma dall'altra parte non c'è nessuno».
Si ordinano tantissimi oggetti tecnologici.
«Già e a volte non rispettano le norme di sicurezza. Sapete che se va a fuoco la casa a causa di uno di quegli oggetti l'assicurazione potrebbe non rispondere? La questione della sicurezza vale anche per i giocattoli, per i cosmetici, per i prodotti per la casa e tanto altro».
Da anni si sensibilizza sulla questione della qualità. Perché il consumatore non recepisce il messaggio?
«I nostri soci in realtà si dimostrano sensibili. Ma rappresentiamo una goccia nel mare. D'altra parte si continua a chiedere al consumatore di essere responsabile. Di non sostenere aziende che inquinano e non rispettano i diritti dei lavoratori. Ma il buon esempio dovrebbe venire dall'alto. La politica non dà segnali chiari, così non va».
È cambiata la cultura dei consumatori?
«Temo di sì. La logica della massimizzazione del profitto, che ha reso avida una parte dell'economia, ha influenzato anche molti consumatori: sono disposti a sostenere un modello irresponsabile pur di risparmiare. Siamo su un'isola dai prezzi alti e la gente è stufa. In più queste piattaforme fanno moltissima pubblicità, ti fanno credere di potere comprare il mondo con poco».
Anche il modo di spedire la merce è "geniale".
«Tu ordini 100 oggetti e loro spediscono 100 pacchi. Così aggirano i dazi. È un modello economico diretto ed efficace. Ma quanto inquina? Hanno costruito tutto a regola d'arte. Con il rischio per i consumatori di ordinare con pochi click prodotti di cui nemmeno hanno bisogno. È l'apice di un capitalismo distruttivo».