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Se la montagna brucia per della cenere o un razzo

Da un mese il divieto di accendere fuochi non è più in vigore. Dalla Sezione forestale il resoconto di mesi «stressanti»
tipress (archivio)
Se la montagna brucia per della cenere o un razzo
Da un mese il divieto di accendere fuochi non è più in vigore. Dalla Sezione forestale il resoconto di mesi «stressanti»
Il capo sezione Roland David: «La situazione ora è sotto controllo. Vogliamo migliorare ancora nella comunicazione, anche se c'è sempre chi sottovaluta il problema»
BELLINZONA - Fumate bianche o nere dalle cime ticinesi. E, puntuale come il fisco, la segnalazione in redazione che grida all’incendio. Ma, almeno negli ultimi casi (diversi in pochi giorni), dopo una veloce verifica si è scoperto che il...

BELLINZONA - Fumate bianche o nere dalle cime ticinesi. E, puntuale come il fisco, la segnalazione in redazione che grida all’incendio. Ma, almeno negli ultimi casi (diversi in pochi giorni), dopo una veloce verifica si è scoperto che il rogo segnalato era anche controllato. Insomma, si trattava di sterpaglie bruciate dal contadino di turno. Ergo: nulla di cui preoccuparsi. 

D’altra parte, come spiega Roland David, capo sezione della forestale ticinese ed esperto in prevenzione e organizzazione dei dispositivi contro gli incendi boschivi, «il contesto è nettamente migliorato nelle ultime settimane e vi sono quindi le condizioni per accendere fuochi all’aperto». Lo dimostra la revoca del divieto di ormai un mese fa. «Di fatto - prosegue David -, la primavera è di per sé una stagione che, con l’arrivo delle piogge e il rinverdimento, va a rendere difficile l’attecchimento di eventuali incendi». 

Insomma, secondo l’esperto (almeno per il momento) la situazione sotto il profilo degli incendi boschivi è «abbastanza tranquilla». Lo stesso non si può dire, purtroppo, per i livelli idrici «in deficit a causa di un inverno estremamente secco». E le piogge registrate fino ad ora non hanno risolto più di tanto il problema.  

La quiete dopo la tempesta - In ogni caso per gli uomini della forestale questo è un momento di quiete, dopo mesi decisamente stressanti complici, appunto, un inverno e una primavera «siccitosi, prevalentemente miti e spesso con molto vento». Condizioni queste che hanno portato a «un grado d’allerta sempre molto elevato». «Per mesi - sottolinea David - abbiamo ricevuto continui allarmi da verificare. Spesso si è trattato di principi d'incendio che fortunatamente potevano essere spenti quasi immediatamente, ma come sappiamo ci sono stati anche incendi più grossi e difficili da gestire, ad esempio quello nel Gambarogno. Più si andava avanti, più le condizioni diventavano estreme e cresceva quindi la possibilità che un incendio si sviluppasse in modo esteso».

Azione e prevenzione - Per limitare questi episodi la Sezione forestale non è intervenuta solo attivamente, ma anche preventivamente. E proprio la comunicazione è uno dei settori che sta cercando di rafforzare: «Oltre al divieto in vigore, abbiamo prodotti diversi comunicati stampa che avvertivano dei possibili pericoli e rischi. Specie a Pasqua, contesto che invitata a stare all’aperto e che vede l’arrivo di diversi turisti dalla Svizzera interna. In quel caso, ad esempio, abbiamo posato nei punti nevralgici dei cartelli supplementari che invitavano all’attenzione».

Quella negligenza «pericolosa e onerosa» - Ciò nonostante, l’incidente capita lo stesso. «Abbiamo visto che le campagna di comunicazione in radio e televisione a volte non bastano. Proprio per questo stiamo cercando di sviluppare maggiormente altri canali». Purtroppo c’è sempre qualcuno, forse per negligenza, che sottovaluta il problema. «Una delle cause frequenti di incendi è banalissima: la cenere della stufa a legna o del caminetto gettata fuori casa. Come se niente fosse - conclude David -. Immaginiamoci una cascina immersa nel verde: quando c’è vento e un tempo secco… è come accendere un fuoco. Ecco, questi incidenti succedono. Così come quelli provocati da chi il primo d’agosto il suo razzo lo deve sparare per forza, anche se non può». E le conseguenze non sono da poco. «Può diventare un affare… molto oneroso».

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