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INDIMENTICABILIIl destino dorato di Steven Bradbury, un uomo che non ha mai mollato

17.10.23 - 10:00
Nel 1994 rischiò di morire dissanguato. Il 16 febbraio 2002 entrò nella leggenda...
Imago
Il destino dorato di Steven Bradbury, un uomo che non ha mai mollato
Nel 1994 rischiò di morire dissanguato. Il 16 febbraio 2002 entrò nella leggenda...
Cadere, ripartire, reinventarsi. Può riassumersi così la vita di un atleta che sabato ha spento 50 candeline e che a Salt Lake City vinse l'oro più folle e impronosticabile dei Giochi Invernali.
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SYDNEY - Per alcuni è un'ispirazione. Per altri un miracolato. Per tutti può essere l'esempio di come, nella vita, non si debba mai arrendersi né darsi per vinti. È un uomo a cui la Dea bendata prima aveva ferocemente voltato le spalle mettendo a rischio la sua carriera (e pure la vita), poi lo ha abbracciato e gli ha ridato tutto. Lo ha ripagato per i sacrifici e il sangue versato, catapultandolo nella storia dello sport. Stiamo parlando di Steven Bradbury, pattinatore australiano diventato una star in Patria e un volto noto anche nella cultura di massa grazie alla medaglia d’oro conquistata nel 2002.

111 punti di sutura
«Non ero certamente il più veloce, ma non penso di aver vinto la medaglia col minuto e mezzo della gara. L'ho vinta dopo un decennio di calvario». Partiamo da qui, partiamo da questa dichiarazione dello stesso Bradbury, che tornando sul suo trionfo Olimpico mise l’accento sul periodo più difficile della sua vita. Già perché la sua storia va ben oltre quel 1’29”109 che il 16 febbraio 2002 gli consegnò il metallo più prezioso. Considerato un giovane di talento e con in bacheca già alcuni risultati prestigiosi, nel 1994, all’età di 21 anni, l’australiano subì un gravissimo infortunio durante una gara a Montréal. Entrato in contatto con un altro atleta, riportò una profonda ferita all'arteria femorale. «Un pattino mi trapassò il quadricipite. Servirono 111 punti di sutura e persi 4 litri di sangue». Servirono anche 18 mesi di dura riabilitazione, con tutte le difficoltà annesse per ripartire dai fondamentali e tornare su buoni livelli. Nel 2000, in allenamento, un altro brutto scherzo del destino e un altro grave ferimento, con la frattura di due vertebre e sei settimane passate con un collare ortopedico. «La tua carriera è finita, da infortuni del genere non ci si riprende mai completamente», gli dissero. Invece no, con coraggio il buon Steven non si arrese nemmeno quella volta… il resto è storia.

L’oro olimpico, il miracolo
Storia che, dicevamo, scrisse a Salt Lake City nei 1¦000m dello short track. Al via senza grandi ambizioni e con l’etichetta di atleta ormai al capolinea, Bradbury si prese - per sua stessa ammissione - l’oro olimpico individuale più fortunato e insperato della storia. Vinta la sua batteria, è dai quarti che iniziò la sua favola. Terzo alle spalle di Apolo Ohno e Marc Gagnon, in nativo di Camden (nei pressi di Sydney) venne proiettato a sorpresa in semifinale grazie alla squalifica di quest’ultimo. E lì, il destino, iniziò a prenderci gusto. Tre cadute e un’altra squalifica gli spalancarono le porte della finale. Basta così? Macché. Partito malissimo in una sfida proibitiva considerando la caratura dei rivali e gli impegni ravvicinati, Bradbury si rivelò - giocoforza - un fine stratega. «Ero il più vecchio della competizione. Sapevo di non avere le capacità di recupero con così tante prove in poco tempo. Allora sono rimasto fuori dal gruppo aspettando che gli altri commettessero degli errori». Detto, fatto. Una carambola per certi versi assurda ed entrata nella storia gli permise anche il quel caso di passare in extremis dal quinto al primo posto, arrivando - da “Last Man Standing”, ultimo uomo in piedi - a braccia aperte e incredulo al traguardo. Tutto vero. Oro Olimpico, il primo per l’Australia ai Giochi Invernali. Più che sufficiente per entrare nella leggenda e nel cuore di molti anche grazie all'irresistibile ironia della "Gialappa's Band" (video).

“Doing a Bradbury”
Osannato in Patria, Bradbury ha attirato su di sé simpatie da tutto il mondo. L’Australia gli ha dedicato un francobollo e gli ha conferito la medaglia dell’Ordine. Negli anni “doing a Bradbury” è diventato un vero e proprio modo di dire, utilizzato per indicare un successo clamoroso e insperato, a seguito di circostanze miracolose.

Oltre l’impresa
Appesi i pattini al chiodo subito dopo i Giochi, negli anni seguenti si è reinventato e ha fatto un po' di tutto. Ha pubblicato un’autobiografia, ha lavorato come commentatore sportivo per la tv australiana, ha partecipato a “Ballando con le stelle" e, da amante della velocità, si è dedicato pure alle corse automobilistiche (Formula Vee). Grazie ai suoi trascorsi è diventato anche un “motivatore professionista" portando avanti il concetto di “Never give-up attitude” (non mollare mai). Il suo ultimo progetto lo vede lanciato nella produzione di birra insieme a due amici. Il nome? Ovviamente “Last Man Standing”, ispirato alla sua impresa. Sulla lattina si trovano anche raffigurate una lepre e una tartaruga.

Di nuovo sotto i riflettori
Nel marzo 2022 Bradbury è tornato alla ribalta per un gesto eroico. Impegnato in una lezione di surf nelle acque della Gold Coast, vicino a Brisbane, l’ex atleta ha salvato 4 ragazze in grossa difficoltà. «Era una di quelle situazioni in cui c’ero solo io e l’istinto ha preso il sopravvento», ha spiegato dopo aver sfidato le onde e soccorso le teenager.

Cadere, ripartire, reinventarsi. Possono riassumersi così i primi 50 anni di vita di Steven Bradbury, che partendo dalla terra dei canguri non si è mai arreso e ha pattinato verso il suo (dorato) destino.

 

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COMMENTI
 

Brasil63 6 mesi fa su tio
Un mito
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