Lupi in Ticino: il limite è stato superato

Aline Prada
Parlare di “coppie di lupi” ormai fa quasi sorridere. Sappiamo tutti come va a finire: una coppia diventa branco, e un branco diventa un problema. La vera domanda è semplice ma urgente: a quanti vogliamo arrivare?
Il Ticino è saturo. I territori alpini, già provati da difficoltà economiche e spopolamento, oggi devono affrontare anche la crescita incontrollata della popolazione di lupi. E la solita scusa del “non protetto adeguatamente” ha davvero stancato.
Ogni volta che un branco arriva, la paura e la preoccupazione degli allevatori crescono sempre di più. Inoltre, costringere animali come le capre in recinti per proteggerli dai lupi è fuorviante: limita i loro comportamenti naturali, genera stress e riduce il benessere degli animali. La realtà dei pascoli è chiara: animali sbranati, greggi disperse, persone esasperate. Non si tratta di essere “contro la natura”, ma di riconoscere che ogni equilibrio ha un limite — e in Ticino, questo limite è stato ampiamente superato.
È tempo di agire. Servono misure di contenimento, monitoraggio e intervento chiare, efficaci e immediate. Il monitoraggio deve essere costante, basato su dati verificabili, non su supposizioni. Gli allevatori devono essere sostenuti concretamente, con strumenti e risorse reali, non con promesse. E le autorità devono finalmente assumersi la responsabilità di decidere: fino a che punto vogliamo lasciare che la situazione sfugga di mano?
Le uniche notizie di cui abbiamo davvero bisogno non sono più “avvistato un nuovo branco”, ma “oggi è stato eliminato un branco”. Perché qui non si parla di odio, ma di buonsenso. Difendere chi vive e lavora nelle nostre montagne non è un atto di ostilità verso la fauna selvatica, ma una scelta di equilibrio e di rispetto per il territorio.
La montagna non è una riserva sperimentale: è un luogo vivo, abitato e produttivo.
Se vogliamo che resti tale, serve il coraggio politico di intervenire ora, con fermezza e responsabilità.




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