Louvre, la password della videosorveglianza era... "Louvre"

Emergono sempre più falle nella sicurezza del museo francese
PARIGI - All’inizio era una difesa senza se e senza ma: «I sistemi di allarme hanno funzionato». Ma in pochi giorni la ministra della Cultura francese Rachida Dati ha dovuto cambiare tono. Oggi ammette che «ci sono state mancanze nella sicurezza» del Louvre e promette un’inchiesta «fino in fondo», per chiarire lacune e responsabilità che hanno consentito quello che molti già definiscono il colpo del secolo.
A dare un nuovo scossone alla versione della sicurezza ineccepibile ci ha pensato il quotidiano Libération, che ha riesumato vecchi fascicoli di appalti, rapporti tecnici e ispezioni. Ne emerge un quadro inquietante: le crepe nella sicurezza del museo non sono certo una sorpresa. Da anni, scrive il giornale, si accumulano segnalazioni di vulnerabilità, anche sul fronte informatico, cuore pulsante dei sistemi di sorveglianza.
In un rapporto risalente al dicembre 2014, l’Agenzia nazionale per la sicurezza dei sistemi informatici aveva già lanciato l’allarme. Su richiesta del museo, tre esperti avevano analizzato la rete che controlla videocamere, allarmi e accessi. La loro conclusione era lapidaria: «Chi riuscisse a prendere il controllo della rete informatica del museo potrebbe facilitare il furto di opere d’arte».
I documenti rivelano poi un dettaglio che oggi suona come una beffa: la password del server di videosorveglianza era semplicemente “Louvre”, mentre quella di un software sviluppato da Thalès era “Thales”. Nulla di più facile per un pirata informatico.
Dieci anni dopo, la speranza è che almeno quelle password fossero state cambiate. Ma, come sottolinea Libération, sembra non essere cambiata l’attitudine generale, basata sulla sottovalutazione cronica dei rischi. Una leggerezza che il 19 ottobre scorso si è trasformata in un disastro annunciato: un furto in pieno giorno, una domenica mattina, poco dopo l’apertura del museo.




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