Quando nemmeno DiCaprio riempie le sale

Acclamato dalla critica, l’ultimo film della star di Hollywood si è rivelato un mezzo flop al botteghino. Il cinema è in crisi? Le opinioni sono divise: c’è chi sostiene che goda ancora di ottima salute e chi, invece, denuncia una frattura nel rapporto tra il pubblico e il grande schermo.
Da qualche anno a questa parte è un discorso che si ripete come un vecchio giradischi rotto: il grande schermo non gode più della salute di un tempo. Nemmeno troppo lontano, visto che si parla di una manciata di anni fa. Prima della pandemia, per l’esattezza. Una crisi, quella che ha colpito il mondo del cinema, che neppure le stelle più luminose di Hollywood sembrano riuscire a tamponare. E se nemmeno un nome come Leonardo DiCaprio riesce a riportare il pubblico in sala, forse, c’è di che preoccuparsi.
Cast da Oscar, ma flop di incassi - Emblematico è il caso di “Una battaglia dopo l’altra,” l’ultimo film di Paul Thomas Anderson. Che non vanta solo la presenza di DiCaprio, ma anche di Benicio del Toro e Sean Penn. Un cast da Oscar, insomma, ma le poltrone non si riempiono. A livello globale per ora sono stati incassati poco più di 160 milioni di dollari. In Ticino, ultimi dati disponibili, da giovedì 30 ottobre a domenica 2 novembre, su tre sale ticinesi che lo proiettavano sono stati staccati 164 biglietti. Meno di 3mila coloro che l’hanno visto da quando è nelle sale.
Cinestar: «soddisfatti» - Che cosa sta succedendo? Arena Cinemas (Cinestar) non commenta i dati e riferisce solo di «un’affluenza molto soddisfacente, che si mantiene su un buon livello già da quasi due mesi», in relazione al suddetto film. Non manca di sottolineare come il fine settimana dedicato al 40° anniversario del film ”Back to the Future” sia stato «un vero successo», e di ricordare i film più attesi per la fine del 2025: “Zootropolis 2”, “Frontaliers” e “Avatar 3”.
Bonardi: «Regista di nicchia e film molto lungo» - Più coerente con le cifre nude e crude è il responso di Gianni Bonardi, del Cinema Forum di Bellinzona. «I film di Paul Thomas Anderson non hanno portato mai grandi incassi. Nonostante il cast, si sapeva sin dall'inizio che non avrebbe attirato il pubblico dei blockbuster americani. Anche la lunghezza, ben tre ore, è un limite da questo punto di vista. Sono pochi i film di quella durata che hanno grande successo: penso a un “Avatar” o un “Titanic”».
Bonardi conferma momenti in cui le sale sono semivuote: «Capita di avere quattro o cinque persone in una sala. Ma dipende anche dagli orari. Il film di Paul Thomas Anderson ad esempio l'abbiamo proiettato alle 17. Motivo? Durando quasi tre ore, se lo faccio uscire alle 18, il secondo spettacolo finisce troppo tardi».
Bisogna poi fare i conti con la concorrenza: «Netflix e Disney Plus esistono, non possiamo negarlo. Ma la clientela che vuole il grande schermo continua ad esserci. Questa estate si è un po' accusata la mancanza dei grandi blockbuster, ma se guardiamo il calendario del prossimo anno usciranno Spider-Man, gli Avengers e un nuovo Guerre stellari».
Prata: «Qualcosa si è incrinato. Colpa di serie tv, della pandemia, ma anche delle sale» - Meno ottimista Antonio Prata, Direttore del Film Festival Diritti Umani Lugano e programmatore dell'Otello di Ascona. Per lui qualcosa sembra essersi incrinato, forse definitivamente, nel rapporto tra il cinema e il suo pubblico. Dopo la pandemia, sostiene, il rito collettivo della sala sembra essersi dissolto, sostituito da un consumo solitario e domestico delle storie.
«Noi lavoriamo grazie a uno zoccolo duro, una clientela che va da cinquant'anni in su. Finché regge, è cara grazia», scherza. «Le nuove generazioni non guardano al cinema come una volta. Andare in sala voleva dire uscire di casa, mangiarsi una pizza in compagnia, discutere del film. Era un evento».
Ma i tempi, vale per tutto, cambiano. «Sicuramente la pandemia ha avuto un ruolo, ma non è solo quello. Anche l'aumento del costo della vita, che non permette più di andare al cinema tutte le settimane, contribuisce. E poi ci sono i contenuti... Soprattutto nei blockbuster, perché il cinema indipendente lavora ancora molto bene».
Prata punta il dito contro le piattaforme: «Hanno certamente costretto il cinema a delle scelte obbligate. Ecco che sul grande schermo ci vedi la star della serie tv. Penso all'ultimo film su Springsteen, ad esempio. A interpretarlo hanno chiamato il protagonista di una serie in onda su Disney Plus. Strepitoso, per carità... Ma la verità è che si scrivono i film come se fossero serie tv. Manca quel qualcosa di speciale che ci si aspettava una volta entrando in sala. Oggi certe sensazioni sono più difficili da provare. E si finisce per guardarsi il film sullo smartphone, che tanto è lo stesso».
Per Prata c’è poi il problema della sovrapproduzione: «Oggi chiunque può fare un film. Ed escono una miriade di prodotti che non meriterebbero la sala. Questo porta a una programmazione molto isterica, troppo veloce. Non si dà il tempo alla gente di sapere che film c'è, di andare a vederlo».
Soluzioni? «Costruire attorno al film un evento. Non si può soltanto aspettare che la gente arrivi in sala, bisogna portarcela. Siamo nell'era dell'individualismo, dove ognuno se ne sta per i fatti suoi. Il cinema dovrebbe essere l'opposto: qualcosa che stimoli la riflessione e il confronto».




Su alcuni temi riceviamo purtroppo con frequenza messaggi contenenti insulti e incitamento all'odio e, nonostante i nostri sforzi, non riusciamo a garantire un dialogo costruttivo. Per le stesse ragioni, disattiviamo i commenti anche negli articoli dedicati a decessi, crimini, processi e incidenti.
Il confronto con i nostri lettori rimane per noi fondamentale: è una parte centrale della nostra piattaforma. Per questo ci impegniamo a mantenere aperta la discussione ogni volta che è possibile.
Dipende anche da voi: con interventi rispettosi, costruttivi e cortesi, potete contribuire a mantenere un dialogo aperto, civile e utile per tutti. Non vediamo l'ora di ritrovarvi nella prossima sezione commenti!