Sono in corso a Ginevra le trattative per tentare di arrivare a un'intesa con gli Stati Uniti. La preoccupazione di un intero settore.
BERNA - «Tutti vogliono trovare un'intesa con noi, c'è la Svizzera che vuole stabilire un accordo al più presto», con queste parole nella serata di giovedì il presidente americano Donald Trump ha voluto citare la Confederazione durante la presentazione del nuovo accordo commerciale raggiunto con il Regno Unito.
Non un caso, perché proprio a partire da questo venerdì in quel di Ginevra, sono in corso degli incontri al vertice - sono presenti la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e il capo del Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca (DEFR), Guy Parmelin. Per gli Stati Uniti ci sarà invece il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent.
Si tratta di un “antipasto” di un lungo weekend diplomatico-commerciale che ambisce anche a fare da apripista a un confronto fra gli Stati Uniti e Pechino. Nella città di Calvino, infatti, sarà presente anche una rappresentativa di Pechino.
Riportando però il focus sulla Confederazione, la pressione per il raggiungimento di un'intesa è particolarmente alta da quando il governo Trump ha confermato l'intenzione di imporre dei dazi anche sulle importazioni farmaceutiche.
Una decisione, questa, che preoccupa fortemente un settore d'importanza nevralgica per la Svizzera.
«Circa il 60% delle esportazioni svizzere verso gli States sono prodotti farmaceutici», ha recentemente spiegato alla SRF l'amministratore delegato di Interpharma René Buholzer, «secondo un recente studio di BAK Economics, se le misure dovessero entrare in funzione, nel peggiore dei casi sarebbero a rischio circa 26'000 posti di lavoro in Svizzera. L'unica cosa che possiamo farci è prepararci al meglio e sperare, in ogni caso abbiamo fiducia nel governo svizzero che, fino a oggi, ha fatto un ottimo lavoro di negoziazione...».
In precedenza, sia Novartis sia Roche hanno confermato l'intenzione di intensificare i propri investimenti negli Stati Uniti (che sono già piuttosto importanti), potrebbe essere questa la chiave di volta per convincere l'amministrazione Trump a un'intesa? «Probabilmente sì, la presa di posizione delle due aziende non va però letta come una resa, quanto piuttosto un adeguamento strategico a un contesto mutevole come quello odierno. Quando un mercato importante come quello americano decide per un protezionismo di questo tipo, la risposta più logica è proprio chiedersi: “Ok, ora dove è meglio che costruisca la mia prossima fabbrica?”», conclude.