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Improvvisamente l'estate scorsa al Lac, difficile dimenticare il film

La versione teatrale andata in scena ieri sera al LAC manca di atmosfera e tensione nonostante le buone prove attoriali.
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Improvvisamente l'estate scorsa al Lac, difficile dimenticare il film
La versione teatrale andata in scena ieri sera al LAC manca di atmosfera e tensione nonostante le buone prove attoriali.
LUGANO - Lo ammetto, faccio parte di quella categoria di persone che dopo aver letto il dramma di Tennessee Williams “Improvvisamente l’estate scorsa”, è cresciuto con la versione cinematografica dell’opera. Uno splendido film del 1959 di &n...

LUGANO - Lo ammetto, faccio parte di quella categoria di persone che dopo aver letto il dramma di Tennessee Williams “Improvvisamente l’estate scorsa”, è cresciuto con la versione cinematografica dell’opera. Uno splendido film del 1959 di  Joseph L. Mankiewicz con un cast stellare, una splendida Elisabeth Taylor nei panni di Catharine sul patibolo della lobotomizzazione, una straordinaria Katharine Hepburn nel ruolo di Violet, madre castratrice e sull’orlo della follia, e un intenso Montgomery Clift post incidente che interpreta lo psichiatra, il dottor “Zucchero”, destinato a fare luce sull’intricata morte di Sebastian e sulla quale esistono due versioni: quella di una madre che non vuole accettare la realtà dei fatti - l’omosessualità del figlio - e quella della cugina Catherine, testimone della morte di Sebastian, che alla fine riesce a urlare una verità scomoda e dolorosa. Il testo, lo sappiamo, è denso di richiami autobiografici e trae spunto da episodi dolorosi della vita del celebre drammaturgo statunitense: nel 1943, Rose, sorella di Tennessee Williams, subisce un intervento di lobotomia con il consenso della madre, vicenda che segna indelebilmente la vita dello scrittore.

Con questa premessa si fa fatica a entrare in empatia con la versione teatrale portata in scena ieri sera al Lac (si ripete stasera alle 20.30) e firmata dal pur bravo Stefano Cordella. Rispetto alla grandezza dell’opera letteraria ci sono diverse mancanze. Quella che si fa più notare è l’assenza dell’affascinante giardino-giungla descritto da Williams, un microcosmo claustofobico di piante esotiche, perfino carnivore, abitato da animali rapaci, metafora dell’inconscio di Williams e del poeta Sebastian. Manca anche quel senso angosciante che si muoveva sul sottile filo della follia che caratterizza l’intero racconto. La tensione narrativa giocata sullo scontro tra apparenza e verità arriva fino a un certo punto, nonostante la bravura soprattutto delle due attrici, Laura Martinoni nel ruolo della madre e Leda Kreider che sul finale ha offerto un intenso monologo catartico di eccezionale bravura.

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