L’agonia dei piccoli musei privati, come quello della medicina di Cadenazzo, analizzata dal consigliere di Stato Manuele Bertoli: «Ad alcune strutture manca dinamismo»
CADENAZZO – È un’agonia quasi commovente quella del Museo didattico della storia medica ticinese. L’ultimo, disperato, appello del responsabile Ivo Giulietti, riportato da Ticinonline, rappresenta anche uno spunto di riflessione. Perché il Ticino, con i suoi 25 musei per ogni 100.000 abitanti (quasi il doppio rispetto alle altre regioni linguistiche svizzere), è di fatto la "terra dei musei”. Ma a quanti davvero interessano queste strutture? Non sono troppe? La questione non lascia indifferente Manuele Bertoli, direttore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport.
Onorevole Bertoli, un confronto tra le città svizzere evidenzia che a Lugano si entra in un museo 1,7 volte all’anno. Mentre a Lucerna circa 10 volte in un anno. Cosa ne pensa?
Sono cifre relative. Non c’è solo Lugano e non ci sono solo i luganesi. Il Ticino conta 94, tra musei, esposizioni e centri culturali. Con complessivamente circa 600.000 visitatori all’anno. Quasi il doppio della popolazione ticinese.
Diversi piccoli musei privati, come ad esempio quello di Cadenazzo, sono in difficoltà finanziarie. È giusto lasciarli morire?
Si tratta di musei che nascono da passioni personali. Intendiamoci, qualsiasi iniziativa culturale è benvenuta. Noi, però, dobbiamo fare una selezione a livello di contributi. Non possiamo aiutare tutti.
Quanto spende ogni anno il Cantone per sostenere i musei ticinesi?
Almeno 5 milioni di franchi all’anno. Sosteniamo, con oltre 800.000 franchi, gli 11 musei etnografici sparsi nelle varie zone periferiche. C’è un sostegno per la Pinacoteca Züst di Rancate, che è cantonale. E di oltre 3 milioni per il neo costituito Museo d’Arte della Svizzera Italiana, a Lugano. Sussidiamo anche singoli eventi che si svolgono nei musei.
Le cifre indicano che metà dei musei ticinesi accoglie meno di 3.000 persone all’anno. A volte sembra che al ticinese medio importi davvero poco dei musei. Qual è la sua opinione?
Difficile stabilire il grado di interesse dei cittadini. A me sembra però che i ticinesi, quando viaggiano, si interessino anche di musei e, più in generale, di cultura. Un numero di 3.000 visitatori non è da disprezzare. La cultura non è solo una questione di numeri o di ricadute economiche. Prima di tutto è conoscenza, appagamento, curiosità, bellezza.
Forse quello che c’è all’interno di questi musei non è abbastanza interessante per attirare le masse?
Il Ticino non sarà mai Roma. Ma abbiamo comunque i nostri punti forti. Abbiamo due siti riconosciuti dall’Unesco, abbiamo eventi e strutture di livello internazionale e spesso tendiamo a dimenticarlo.
Non ritiene che alcuni musei ticinesi si presentino in maniera troppo noiosa al pubblico, e per questo vengono evitati?
Sicuramente in Ticino ci sono alcuni musei a cui manca dinamismo. Se il museo è statico, non attrae. La sfida sta nel sapersi rinnovare. Nel sapere fare “muovere” qualcosa che di base è fermo. Forse anche nel sapere comunicare verso l’esterno, attraverso le dovute sinergie e i giusti canali. Ad esempio, sfruttando le collaborazioni con gli enti turistici.