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100 MIGLIA

«Correre è la nostra filosofia di vita, i limiti sono quasi sempre mentali»

Andiamo alla scoperta del mondo di Aline e Michele Evangelisti: la corsa è la loro vita...
Aline e Michele Evangelisti
Fonte MEG
«Correre è la nostra filosofia di vita, i limiti sono quasi sempre mentali»
Andiamo alla scoperta del mondo di Aline e Michele Evangelisti: la corsa è la loro vita...
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Loro sono Aline e Michele Evangelisti, coppia nella vita e nella corsa. Recentemente sono volati in California, tra le montagne di Big Bear Lake, per affrontare la Kodiak 100 Miles, una gara di 160 chilometri e 5¦000 metri di dislivello positivo immersa nella natura aspra e selvaggia della Sierra. Michele è atleta e coach di trail running ed endurance: da anni aiuta persone di ogni livello a costruire i propri obiettivi, passo dopo passo, trasformando il desiderio di correre in esperienze reali e significative. Il suo lavoro non si limita all’allenamento: è un modo di accompagnare gli altri a realizzare i propri sogni di corsa, qualunque sia il punto di partenza.

Aline, oltre a essere mamma e lavoratrice a tempo pieno, ha scelto di mettersi in gioco e di affrontare la sua prima 100 miglia come sfida dei 40 anni, con Michele al suo fianco come coach e compagno di viaggio.

«Per noi, correre non è solo una questione di chilometri o performance – ha detto Aline – È la nostra filosofia di vita: stare sulle proprie gambe. Significa esplorare nuovi luoghi, conoscere culture e paesaggi diversi, vivere il mondo passo dopo passo, con la fatica e la libertà che solo il movimento può dare. La Kodiak 100 Miles non è stata solo una gara, ma un viaggio dentro e fuori di noi: due persone, una stessa visione, e la certezza che ogni traguardo – piccolo o grande –comincia sempre nello stesso modo: con un passo avanti.

Aline, partiamo dall’inizio: com’è nata l’idea di correre i 100 Miles?
«Tutto è cominciato due anni fa, dopo una frattura scomposta al piede. È stato un infortunio serio che mi ha costretta a fermarmi completamente e a ricominciare da zero. Quando ho ripreso, riuscivo a correre solo quattro chilometri di fila. Ma proprio lì, in quella fragilità, ho sentito nascere dentro di me la voglia di trasformare la difficoltà in un punto di partenza».

La corsa è quindi diventata anche un modo per ritrovare fiducia?
«Esatto. All’inizio non correvo per migliorare le prestazioni, ma per ritrovare equilibrio, fiducia, determinazione. Ogni allenamento era una piccola vittoria, un segnale che mente e corpo stavano tornando a collaborare. Da quattro chilometri sono diventati otto, poi dieci, poi una maratona… E da lì, il passo verso le ultramaratone è arrivato quasi naturalmente». 

Quando hai deciso che i 100 miles sarebbero stati il tuo obiettivo dei 40 anni?
«A un certo punto ho sentito il bisogno di darmi una sfida vera, qualcosa che rappresentasse tutto quello che avevo superato. I 100 Miles – 160 chilometri con 5¦000 metri di dislivello positivo – erano perfetti: una distanza che richiede testa, pazienza e forza. Ho deciso che sarebbero stati il mio modo per festeggiare i 40 anni. Un regalo simbolico, non solo sportivo».

Oltre alla corsa, sei anche mamma e hai un lavoro impegnativo. Come sei riuscita a conciliare tutto?
«Con organizzazione, ma soprattutto con realismo. Sono mamma di due bimbe e ho un lavoro molto impegnativo, quindi il tempo per allenarmi è poco. Ma ho imparato che non serve averne tanto, serve usarlo bene. Mi alleno quando posso, a volte all’alba o tra un impegno e l’altro, e questo mi ha insegnato che non servono scuse: si fa con quello che si ha».

Aline e Michele Evangelisti

Quanto è stato importante avere accanto qualcuno che credesse in te?
«È stato fondamentale. Il mio coach e compagno di vita è Michele Evangelisti e, senza di lui, questa sfida non avrebbe avuto lo stesso significato. Michele ha creduto in me prima ancora che lo facessi io stessa. Mi ha insegnato a rispettare i tempi, a fidarmi del processo, a capire che ogni allenamento, anche il più difficile, era un passo verso il sogno. Nei momenti di paura o dubbio, lui era il mio punto fermo».

Com’è stato l’allenamento per una gara così impegnativa?
«Lungo, intenso e spesso difficile. Ci sono state albe fredde, pioggia, giornate di stanchezza o motivazione a zero. Ma ogni volta che ricordavo da dove ero partita – da un piede rotto e quattro chilometri – trovavo la forza per andare avanti. Ho capito che la costanza vale più del talento, e che i limiti sono quasi sempre mentali».

E il giorno della gara?
«Emozionante, durissimo e indimenticabile. Centosessanta chilometri e 5¦000 metri di dislivello non sono solo una corsa: sono un viaggio dentro se stessi. Ho provato gioia, dolore, gratitudine e anche voglia di mollare. Ma quando ho tagliato il traguardo, ho capito che non stavo solo finendo una gara, stavo chiudendo un cerchio, quello iniziato due anni prima».

Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
«Che il corpo si allena, ma è la mente che ti porta lontano. Le mie 100 miglia non sono un traguardo sportivo: sono una metafora della vita. Dopo ogni caduta, si può sempre ricominciare, un passo alla volta, ogni giorno».

Se potessi lasciare un messaggio a chi sta affrontando una propria sfida personale, quale sarebbe?
«Non importa da dove parti, ma dove scegli di andare. Io sono partita con un piede rotto e quattro chilometri. Oggi so che ogni sogno, se lo costruisci con costanza e accanto a chi crede in te, può diventare possibile».

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