Grossi utili, ma anche tanti licenziamenti. Il Pil del Ticino è cresciuto più di quello degli Stati Uniti, in dieci anni. Ma per l'economista Sergio Rossi non è tutto oro quel che luccica
LUGANO-FRIBORGO. Le cronache economiche, a volte, hanno un andamento schizofrenico. La prova: nel 2017 alcuni dei principali gruppi svizzeri hanno annunciato utili record, eppure i licenziamenti (anche in Ticino) non sono mancati. L’ultima notizia a sorpresa è arrivata da uno studio di Bak Economics per la Camera di Commercio: il Pil ticinese è cresciuto più di quello degli Stati Uniti, negli ultimi dieci anni. Va tutto bene dunque? La risposta è “no” secondo Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friborgo. «La percezione dei cittadini al contrario è quella di un impoverimento diffuso. E purtroppo è corretta» spiega l’esperto.
Lo studio di Bak Economics dunque è sbagliato?
«Leggendolo sono rimasto deluso dallo scarso grado di approfondimento. Ma le conclusioni non sono false: la crescita del Pil c’è stata, in effetti. Ma è dovuta alla crescita dell’occupazione e non della produttività».
Si spieghi meglio.
«L’economia ticinese cresce non perché ciascun lavoratore produca di più, ma perché in Ticino ci sono più persone che lavorano: l’aumento dell’occupazione è stato del 24 per cento dal 2005. È questo aumento che spiega la crescita del Pil. Sono aumentati i lavoratori frontalieri, i working poor, gli stagisti, i contratti precari e quelli a tempo parziale».
I numeri dicono che la ricchezza complessiva è cresciuta, però.
«Questo è avvenuto senza che il potere d’acquisto dei lavoratori aumentasse. Al contrario. Le aziende hanno accresciuto i propri utili. Ma i ricavi vengono distribuiti agli azionisti, e sempre più spesso immessi nei mercati finanziari».
Perché?
«Investire nelle aziende, nell’aumento della produttività, non è conveniente in questo momento. Le aziende producono già più di quanto riescano a vendere, il mercato ticinese non è in fase d’espansione e ci sono molte incertezze nell’economia globale. Parcheggiare gli utili nei mercati finanziari porta a guadagni più immediati e sicuri».
Ma anche le banche sono in crisi.
«La piazza ticinese è in un momento difficile, ma può sempre far uso della leva del credito. Il problema è che le banche non sono interessate a concedere dei crediti all’economia reale e alle imprese innovative. Anche perché in Ticino quest’ultime sono molto rare. E non si fa abbastanza per attirarne o farne nascere di più».
La politica può intervenire in qualche modo?
«Diminuire le imposte sulle imprese porterebbe solo a una gara al ribasso con gli altri Cantoni. La riforma fiscale approvata dal Gran Consiglio ticinese di recente implicherebbe minori entrate per lo Stato, che invece ha bisogno di risorse da investire nella formazione e nell’innovazione. Penso ad esempio a incentivi finanziari e sgravi fiscali per chi investe nella ricerca e a sostegno di giovani imprenditori. Altrimenti continueremo ad attrarre solo aziende in cerca di oasi fiscali».