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FUORI DALLE CORDEFulvio Bernasconi, regista ticinese sul “ring” del concorso internazionale

31.07.07 - 09:14
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Fulvio Bernasconi, regista ticinese sul “ring” del concorso internazionale
di Daniela Persico
 
Quest’anno Locarno ospita in Con­corso un film speciale: Fuori dalle corde di Fulvio Bernasconi (presen­tato il 5 agosto al Fevi) è una delle ra­re opere realizzate da un regista tici­nese. Una storia di lotta e redenzio­ne tra le corde di un ring che è un’in­teressante coproduzione tra Svizze­ra e Italia. Un modo per rendere me­no provinciale il nostro cinema, aprendo interessanti rapporti di col­laborazione. Un incontro con Fulvio Bernasconi, un luganese che parten­do dalla passione per il cinema è riu­scito a realizzare un film internazio­nale.

Quando è nata la tua passione per il ci­nema?

In Ticino manca una tradizione cine­matografica. Io da piccolo frequenta­vo poco il cinema, ho iniziato ad an­darci soprattutto da adolescente con le ragazze. Una sera ho visto
Urla nel silenzio: è stata la prima volta che ho avuto la percezione che un film po­tesse essere qualcosa di molto lonta­no dal puro entertaiment. Un’altra in­tuizione mi è arrivata quando ho let­to sul giornale di un’opera realizza­ta da un regista ticinese, Michael Bel­trami. Solo in quel momento ho ca­pito che sarebbe stato possibile di­ventare un regista anche in Ticino.

Prima però hai frequentato l’università, giusto?

Sì, al tempo tutte le scuole di cinema pubbliche serie erano post-universi­tarie. Quindi prima mi sono iscritto a Scienze Politiche a Ginevra, poi so­no andato a Losanna per studiare ci­nema. Come lavoro finale mi hanno richiesto due opere: una documen-t­aria,

Voie de garage
sui senzatetto di Ginevra, e una di finzione, Bad Trip to Mars. Proprio quest’ultimo corto­metraggio ha vinto un premio a Lo­carno. Mi ritengo molto fortunato perchè i miei due saggi scolastici han­no incontrato il favore di molte per­sone, sono stati comprati dalle tele­visioni e mi hanno dato l’opportunità di iniziare subito a lavorare come re­gista.

Quasi tutti i tuoi film sono delle copro­duzioni, pensi possa essere una scelta produttiva felice per la Svizzera?

Immagino sia l’unica possibile. Og­gi un film costa 4 o 5 milioni, in Sviz­zera si possono recuperare al massi­mo 2 milioni e mezzo. Quindi serve un aiuto, che è importante soprattut­to per la successiva distribuzione. La Svizzera ha un bacino di pubblico ri­stretto: diventa essenziale avere un
altro paese in cui si distribuirà il film. Per Fuori dalle corde c’è stata una co­produzione italiana con cui mi sono trovato molto bene. Non soltanto fi­nanziariamente, ma soprattutto dal punto di vista creativo: ho avuto un ottimo rapporto con gli attori, tra cui c’è Maya Sansa, e anche con il resto della troupe.

Ci puoi raccontare qualcosa del tuo nuo­vo film “Fuori dalle corde”?

È la storia di un pugile che va in Ger­mania per sfondare: il suo sogno è quello di diventare un campione. Purtroppo una serie di incontri an­dati male, lo costringono a rientrare in Italia. Le delusioni personali e i problemi economici lo portano ad accostarsi al mondo dei combatti­menti clandestini, dove tutto è vali­do, dove non ci sono regole. Un mon­do che lo porta a sprofondare nella brutalità.

Il tuo cinema è vicino alla tradizione americana, anche se riesce sempre a mantenere l’impronta svizzera.

Questo in effetti è il primo film in cui mi sono potuto esprimere più libera­mente, rispetto ad altri progetti come

La digae Swiss Love
che erano più dei film su comando. Ho scelto comun­que di cimentarmi con il film di ge­nere, forse perchè come spettatore amo i grandi film di genere america­ni. Mi piace il cinema di Martin Scor­sese. Anche se penso che sia diffici­le non prendere in considerazione le proprie origini: per questo, soprattut­to nelle mie prime opere, ho parlato molto della Svizzera. E poi sono ap­passionato anche del cinema italia­no, soprattutto la commedia all’ita­liana ma anche film dei grandi auto­ri come Federico Fellini e Roberto Rossellini. Fino a vent’anni ero per­meato dalla cultura italiana.

Come mai al primo progetto da “auto­re” hai scelto il mondo della boxe?

La scelta nasce da due aspetti: prima
di tutto mi interessava analizzare il fe­nomeno della brutalità che è presen­te in un mondo molto pacificato co­me può essere quello italiano o quel­lo svizzero. C’è una violenza latente nella gente, che esplode all’improv­viso. Poi sono venuto a conoscenza di questi combattimenti, veramente brutali, che si svolgevano però nelle piscine, un luogo assolutamente ci­vilizzato. Ho pensato fosse un’ottima visualizzazione del contrasto che noto nella nostra società.

Perchè hai scelto di girare il film in Ita­lia? È stata una scelta personale o del­la produzione?

La scelta è stata dettata dalla sceneg­giatura. Il protagonista è un pugile professionista: non è una carriera possibile in Svizzera. Quindi abbia­mo cercato una città italiana che fos­se adatta. Si è scelta Trieste, anche se alcune scene sono state girate anche a Gorizia. Mi ha colpito la Trieste del porto e delle industrie che, secondo me, rispecchia il carattere del prota­gonista e soprattutto l’idea di una vi­ta dura che è alla base della storia
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