Fulvio Bernasconi, regista ticinese sul “ring” del concorso internazionale
di Daniela Persico
Quest’anno Locarno ospita in Concorso un film speciale: Fuori dalle corde di Fulvio Bernasconi (presentato il 5 agosto al Fevi) è una delle rare opere realizzate da un regista ticinese. Una storia di lotta e redenzione tra le corde di un ring che è un’interessante coproduzione tra Svizzera e Italia. Un modo per rendere meno provinciale il nostro cinema, aprendo interessanti rapporti di collaborazione. Un incontro con Fulvio Bernasconi, un luganese che partendo dalla passione per il cinema è riuscito a realizzare un film internazionale.
Quando è nata la tua passione per il cinema? In Ticino manca una tradizione cinematografica. Io da piccolo frequentavo poco il cinema, ho iniziato ad andarci soprattutto da adolescente con le ragazze. Una sera ho visto Urla nel silenzio: è stata la prima volta che ho avuto la percezione che un film potesse essere qualcosa di molto lontano dal puro entertaiment. Un’altra intuizione mi è arrivata quando ho letto sul giornale di un’opera realizzata da un regista ticinese, Michael Beltrami. Solo in quel momento ho capito che sarebbe stato possibile diventare un regista anche in Ticino.
Prima però hai frequentato l’università, giusto? Sì, al tempo tutte le scuole di cinema pubbliche serie erano post-universitarie. Quindi prima mi sono iscritto a Scienze Politiche a Ginevra, poi sono andato a Losanna per studiare cinema. Come lavoro finale mi hanno richiesto due opere: una documen-taria, Voie de garage sui senzatetto di Ginevra, e una di finzione, Bad Trip to Mars. Proprio quest’ultimo cortometraggio ha vinto un premio a Locarno. Mi ritengo molto fortunato perchè i miei due saggi scolastici hanno incontrato il favore di molte persone, sono stati comprati dalle televisioni e mi hanno dato l’opportunità di iniziare subito a lavorare come regista.
Quasi tutti i tuoi film sono delle coproduzioni, pensi possa essere una scelta produttiva felice per la Svizzera? Immagino sia l’unica possibile. Oggi un film costa 4 o 5 milioni, in Svizzera si possono recuperare al massimo 2 milioni e mezzo. Quindi serve un aiuto, che è importante soprattutto per la successiva distribuzione. La Svizzera ha un bacino di pubblico ristretto: diventa essenziale avere un altro paese in cui si distribuirà il film. Per Fuori dalle corde c’è stata una coproduzione italiana con cui mi sono trovato molto bene. Non soltanto finanziariamente, ma soprattutto dal punto di vista creativo: ho avuto un ottimo rapporto con gli attori, tra cui c’è Maya Sansa, e anche con il resto della troupe.
Ci puoi raccontare qualcosa del tuo nuovo film “Fuori dalle corde”? È la storia di un pugile che va in Germania per sfondare: il suo sogno è quello di diventare un campione. Purtroppo una serie di incontri andati male, lo costringono a rientrare in Italia. Le delusioni personali e i problemi economici lo portano ad accostarsi al mondo dei combattimenti clandestini, dove tutto è valido, dove non ci sono regole. Un mondo che lo porta a sprofondare nella brutalità.
Il tuo cinema è vicino alla tradizione americana, anche se riesce sempre a mantenere l’impronta svizzera. Questo in effetti è il primo film in cui mi sono potuto esprimere più liberamente, rispetto ad altri progetti come La digae Swiss Love che erano più dei film su comando. Ho scelto comunque di cimentarmi con il film di genere, forse perchè come spettatore amo i grandi film di genere americani. Mi piace il cinema di Martin Scorsese. Anche se penso che sia difficile non prendere in considerazione le proprie origini: per questo, soprattutto nelle mie prime opere, ho parlato molto della Svizzera. E poi sono appassionato anche del cinema italiano, soprattutto la commedia all’italiana ma anche film dei grandi autori come Federico Fellini e Roberto Rossellini. Fino a vent’anni ero permeato dalla cultura italiana.
Come mai al primo progetto da “autore” hai scelto il mondo della boxe? La scelta nasce da due aspetti: prima di tutto mi interessava analizzare il fenomeno della brutalità che è presente in un mondo molto pacificato come può essere quello italiano o quello svizzero. C’è una violenza latente nella gente, che esplode all’improvviso. Poi sono venuto a conoscenza di questi combattimenti, veramente brutali, che si svolgevano però nelle piscine, un luogo assolutamente civilizzato. Ho pensato fosse un’ottima visualizzazione del contrasto che noto nella nostra società.
Perchè hai scelto di girare il film in Italia? È stata una scelta personale o della produzione? La scelta è stata dettata dalla sceneggiatura. Il protagonista è un pugile professionista: non è una carriera possibile in Svizzera. Quindi abbiamo cercato una città italiana che fosse adatta. Si è scelta Trieste, anche se alcune scene sono state girate anche a Gorizia. Mi ha colpito la Trieste del porto e delle industrie che, secondo me, rispecchia il carattere del protagonista e soprattutto l’idea di una vita dura che è alla base della storia