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ZURIGO

«Nessuno si sentiva responsabile se gli adulti facevano sesso con i bambini»

Una donna racconta la sua infanzia nella comune Osho di Zurigo: un mondo chiuso, tra restrizioni della libertà, abusi e indifferenza
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«Nessuno si sentiva responsabile se gli adulti facevano sesso con i bambini»
Una donna racconta la sua infanzia nella comune Osho di Zurigo: un mondo chiuso, tra restrizioni della libertà, abusi e indifferenza

ZURIGO - Negli anni Settanta, quando il maestro indiano Bhagwan Shree Rajneesh, poi noto come Osho, divenne un guru di fama mondiale, anche in Svizzera nacquero comunità ispirate ai suoi insegnamenti.

Nel 1978, nel quartiere Höngg di Zurigo, fu fondata la prima comune stabile. Leela Goldmund aveva otto anni quando vi si trasferì con la madre e la sorella minore. Solo molti anni dopo avrebbe capito di essere cresciuta in una setta.

«Eravamo circa trecento persone in una ventina di appartamenti», racconta oggi al TagesAnzeiger. «Le stanze servivano solo per dormire, tutto il resto – meditazioni, terapie, pasti – si svolgeva nel centro di Oerlikon. I bambini vivevano separati dagli adulti, senza figure di riferimento. Era vietato mostrare nostalgia o tristezza: dovevamo essere sempre felici, altrimenti ci mandavano in terapia.»

La comune era un sistema chiuso e autosufficiente: scuole, cucina, infermeria, imprese artigianali e ristoranti. Tutto era pensato per finanziare il gruppo. «Chi non portava denaro dall’esterno doveva lavorare all’interno, cucinare, pulire o occuparsi dei bambini. Tutto era deciso dall’alto, e chi non si sottometteva al guru veniva espulso. Anche le famiglie tradizionali erano malviste: una donna rimasta incinta fu costretta ad abortire per non essere cacciata.»

Goldmund parla di abuso spirituale: «Ci insegnavano che ogni emozione era solo un’illusione. Dovevamo liberarci da ogni sentimento umano. Per un bambino che sta costruendo la propria identità, era devastante. Ci disgregavano psicologicamente e lo chiamavano crescita interiore.»

Ma l’aspetto più oscuro riguardava la sessualità. «Osho predicava la libertà totale. Diceva che una ragazza è pronta quando ha le mestruazioni. Alcuni adulti lo prendevano alla lettera. A dodici anni molte avevano già rapporti con adulti. A scuola ci insegnavano come mettere un preservativo: il sesso era ovunque, parte della normalità.» Nessuno, racconta, si sentiva responsabile. «Gli adulti lo consideravano naturale. Mia madre, anni dopo, mi chiese perché non avessi detto nulla. Ma io non sapevo che si potesse dire di no.»

Le conseguenze l’hanno accompagnata per tutta la vita. «Non avevo un senso dei confini, non capivo cos’era l’intimità. Da adulta mi sono ritrovata spesso in relazioni abusive. Molte ragazze furono sterilizzate: i figli non erano desiderati. Anch’io non ho potuto averne. È la ferita che mi ha segnato di più.»

Dopo l’arresto di Bhagwan nel 1985, la comune collassò. «Restammo ancora qualche anno, poi fui mandata in una scuola normale. Ma non sapevo vivere fuori da quel mondo chiuso.» Solo a quarant’anni, scrivendo i suoi libri, Goldmund ha riconosciuto la portata del trauma: «Ero stata plagiata. Ma il dolore più grande è vedere che la comunità non vuole affrontare il passato, nega tutto, tradendo di nuovo i propri bambini.»

Un tentativo di azione legale collettiva con un centinaio di ex membri, che denunciavano abusi e negligenze, è stato archiviato per prescrizione. «La Fondazione Osho prende le distanze da quegli eventi, ma con il nome del guru si fanno ancora milioni. Nessuno vuole rovinarne l’immagine. La verità è che siamo stati abbandonati e nessuno si è mai sentito responsabile di ciò che ci è stato fatto.»

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