Quei ragazzi che spariscono spesso. Tra lo spettro dell'assistenza e qualche lieto fine

L'esperienza del direttore della Fondazione Paolo Torriani: «Molto liberi di decidere per sé. Tanti lasciano la scuola, molti hanno bisogno di un approccio terapeutico che non possiamo offrirgli. Li accolgono in Italia».
MENDRISIO - In Ticino si moltiplicano i casi di adolescenti oggetto di ripetuti avvisi di scomparsa. A volte sono giovani che trovano rifugio a casa di amici, in fuga da situazioni per loro “scomode”. Nei casi peggiori vivono in contesti ai margini, spesso preda di situazioni di disagio segnate dal consumo di alcol e droghe. Molti hanno interrotto il percorso scolastico, lasciato la famiglia, e vengono rimbalzati da un istituto all'altro. Tra le strutture in Ticino che accolgono questi giovani si annovera la Fondazione Paolo Torriani per minorenni, a Mendrisio.
A dirigere questa struttura è Luca Forni, da noi interpellato per avere un quadro del mondo degli adolescenti oggi. Almeno per quel che concerne i giovani che gravitano attorno alla Fondazione.
«Il nostro scopo è l’accoglienza e la presa in carico educativa di minorenni che, per ragioni diverse, vivono delle situazioni di grave difficoltà. La struttura, nel limite del possibile, cerca di collaborare e sostenere anche le famiglie dei minorenni accolti. Inoltre, collabora attivamente con tutta la rete che gravita attorno al giovane, quindi scuola, datori di lavoro, servizi, amici, autorità, medici, ecc».
Che storie si celano dietro le realtà con cui vi confrontate?
«Abbiamo a che fare con situazioni in cui il minore si ritrova in pericolo o in difficoltà. Quindi necessita di un collocamento a scopo di protezione, a volte perché l’ambiente che lo circonda non riesce a far fronte ai suoi bisogni, ad occuparsi della sua educazione. In alcuni casi è lui a chiedere aiuto, in altri possono essere la famiglia, le autorità o l’Ufficio dell'aiuto e della protezione, anche contro il parere della famiglia stessa».
I ragazzi chiedono aiuto?
«Oggi tanti giovani hanno un margine di manovra importante su quella che è la possibilità data loro di autodeterminarsi. Possono quindi muoversi facilmente evitando tutto ciò che genera loro ansie, preoccupazioni, e a volte fatica. E così l'assenteismo scolastico, di recente, è aumentato in modo considerevole. Almeno stando alla mia esperienza».
Quanto costano al Cantone queste situazioni?
«Non sono in grado di quantificarlo. Noi abbiamo un contratto di prestazione con lo Stato, però è un contratto globale. Non è possibile quantificare il singolo caso».
Anche per i casi limite c’è speranza?
«Dipende. Questa non è una scienza esatta. Non mancano però le sorprese. Ci sono anche situazioni che appaiono particolarmente problematiche e che con il tempo si risolvono. Ciò avviene in primis costruendo una relazione di fiducia col ragazzo o la ragazza, poi iniziando a costruire anche un progetto di vita».
E di queste fughe, quelle che vengono rese note tramite gli avvisi di scomparsa, cosa ne pensa?
«Non so se il termine fuga sia corretto per i nostri ragazzi. Queste sono strutture aperte. Se uno vuole uscire può farlo facilmente. Non c’è nessuno che glielo impedisce e le ragioni sono molteplici. Puoi essere accusato di coercizione o, peggio, puoi trovarti di fronte il ragazzo che ha reazioni violente. È già accaduto che degli educatori venissero aggrediti. Reagire, in quei casi, è sempre un rischio. Non è un lavoro semplice, insomma. Oramai nessuno interviene più fisicamente».
Insomma, non sempre ci sono risultati.
«Ci sono situazioni in cui la sofferenza è tale per cui questa non è la struttura adeguata. Il tema è noto: in Ticino mancano strutture terapeutiche. Ecco perché tanti ragazzi vengono collocati in Italia».
Stiamo parlando di problemi di che natura?
«A volte non è una questione educativa. A volte la sofferenza, il malessere, sono talmente elevati che c’è bisogno di un approccio terapeutico di tipo contenitivo. E in Ticino ci sono solo due strutture socioterapeutiche, che però accolgono solo un certo tipo di casistiche. Per cui tanti ragazzi vengono portati in Italia. Poi, è chiaro, è sempre più difficile collocare qualcuno che non è motivato a seguire un percorso».
Ecco che quindi scappano… Secondo lei ha senso, quando queste fughe sono reiterate, continuare a darne notizia?
«Quando un minore non rientra siamo tenuti a segnalarlo alla polizia. È una procedura standard. Anche per tutelarci nel caso dovesse succedere qualcosa. Ovviamente non è detto che “entrato dalla porta” il ragazzo non possa “riuscire dalla finestra”. È messo in conto. In ogni caso l’avviso di scomparsa, in accordo con la polizia, viene diramato solo quando si perdono completamente le tracce del giovane. Quando cioè non sappiamo più dove sia o quando c’è il dubbio che non sia lui a rispondere ad eventuali messaggi. Se si mantiene un contatto di qualche tipo, l’avviso non viene emesso».
Con la maggiore età che fine fanno?
«Fino ai diciott'anni la convenzione per l'affido è sottoscritta o dal genitore o da un'autorità. Al compimento dei diciott'anni questa viene a cadere. A questo punto è il ragazzo a decidere se rimanere in istituto. Tanti restano fino al compimento dei 20 anni. Purtroppo non di più, ed è un peccato. Ci sono tanti ragazzi che spesso hanno un ritardo nel percorso formativo e sarebbe importante avere anche qualche anno in più a disposizione. Ma così è deciso in Ticino. A quel punto c’è chi porta avanti la formazione per conto suo, chi finisce in assistenza».
Quindi il rischio del limbo dell'assistenza c'è…
«Sì, anche perché vedono altri ragazzi già in assistenza, capiscono che vivono discretamente e quindi seguono l’esempio».




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