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BELLINZONASette infermiere contro il San Giovanni: «Noi, contaminate da chemioterapici»

31.01.21 - 08:30
Il gruppo di collaboratrici accusa l’ospedale per le patologie contratte, tra cui tumori
Tipress
Sette infermiere contro il San Giovanni: «Noi, contaminate da chemioterapici»
Il gruppo di collaboratrici accusa l’ospedale per le patologie contratte, tra cui tumori
La replica: «Non si tratta di malattie professionali». Ma le donne non si arrendono.

BELLINZONA - Ci si può ammalare grattando via l’amianto dalle carrozze ferroviarie, ma ci si può anche rovinare pesantemente la salute maneggiando senza le giuste protezioni farmaci chemioterapici e formaldeide in un reparto di chirurgia del San Giovanni. Questo quanto sostengono sette infermiere che incolpano il nosocomio per le loro patologie provocate, affermano, dal lavoro svolto per decenni in ospedale.

La lettera di denuncia - È una vicenda iniziata negli anni ‘70, ma che si spinge fino all’inizio degli anni duemila quella che ricostruisce un’inchiesta pubblicata oggi dal Caffè. È la storia di sette infermiere che, in una lettera inviata nella primavera del 2019, chiedono all’ospedale della capitale di indagare sui possibili nessi fra le loro patologie (malattie autoimmuni e tumori) e il lavoro svolto in corsia nel periodo che va dagli anni settanta all’inizio del duemila. Tutte e sette avevano lavorato nel reparto di chirurgia del San Giovanni. Sono state esposte, sostengono, a sostanze nocive. Chemioterapici, da un lato, e formaldeide (contenuta in un prodotto usato fino agli anni ‘80 per disinfettare le superfici, il Buraton). Tutte e sette le infermiere si sono ammalate, chi prima e chi dopo, di tumori e malattie autoimmuni. Una di loro è morta la scorsa primavera.  

La preparazione delle chemioterapie - Il San Giovanni, come ricostruisce l’inchiesta di quattro pagine sul domenicale, ha convocato il gruppo di infermiere alla fine del 2019. Hanno lavorato nel reparto di chirurgia uomini. Hanno preparato le chemioterapie, per un certo periodo, in un locale senza misure di protezione personale, come sostengono. La preparazione sarebbe dovuta avvenire in locali dotati di "campane" di aspirazione, ma secondo le infermiere e anche secondo altre testimonianze raccolte dal giornale, tutto avveniva invece nel reparto, «in un locale piccolissimo, senza guanti, senza manicotti, senza alcuna visiera».

«Nessun nesso», ma le infermiere contestano - L’ospedale ha dato incarico a un gruppo di specialisti dell’Eoc di effettuare delle analisi sulla base delle cartelle mediche delle infermiere. Nei primi mesi del 2020 la conclusione: «La ricerca non ha permesso di definire nessi di causalità diretti conclusivi tra chemioterapici/formaldeide e le patologie sviluppate dalle collaboratrici». Ma le infermiere non si arrendono e chiedono ulteriori approfondimenti su quando e perché negli anni sono state introdotte misure di sicurezza supplementari (guanti, occhiali) per maneggiare i chemioterapici. Intanto però l’Ente ospedaliero, in una lettera dello scorso luglio, rileva che a suo dire la vicenda sarebbe caduta in prescrizione. Tesi che il legale del gruppo di infermiere contesta, facendo notare che l’Ente dovrebbe avere anche una responsabilità sociale. E, probabilmente, l’obbligo morale di far chiarezza.

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