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L'OSPITEDivieto di dissimulazione del viso in Svizzera

14.10.19 - 08:33
Roberta Pantani, Consigliera nazionale, Lista 8, Candidata 1
TiPress - foto d'archivio
Divieto di dissimulazione del viso in Svizzera
Roberta Pantani, Consigliera nazionale, Lista 8, Candidata 1

Mentre in Ticino impazza la campagna elettorale, a Berna i lavori commissionali continuano. Negli scorsi giorni la Commissione delle Istituzioni Politiche ha affrontato l’esame dell’iniziativa popolare proposta dal Comitato di Egerkingen per il divieto di dissimulazione del viso su tutto il territorio nazionale. Naturalmente i fronti erano chiari: da una parte coloro che affermano che l’iniziativa sia inutile perché i casi di persone con il volto coperto in Svizzera sono pochi, non fanno numero e non necessitano di una modifica costituzionale, dall’altra coloro che pensano che questa iniziativa sia un segnale importante. Per la paura di andare alle urne solo con il testo dell’iniziativa – e quindi rischiare che venga accettata – ecco che la triade partitica ha proposto un controprogetto con una legge contro la dissimulazione del viso, in cui vengono definite le eccezioni in cui le persone devono mostrare il loro volto nonché si promuove l’uguaglianza tra uomo e donna nella società e si migliora la condizione della donna: tanti buoni propositi che distolgono l’attenzione dal testo originale dell’iniziativa e dai suoi obiettivi. Sono stata nel 2016 relatrice di minoranza sull’iniziativa parlamentare del collega Wobmann che aveva esattamente lo stesso scopo: quello di vietare la dissimulazione del volto in tutta la Svizzera. Gli argomenti contro sono stati gli stessi: tutti a riempirsi la bocca con l’uguaglianza, con la discriminazione e con l’inutilità di mettere tale divieto, ma il Nazionale allora mi seguì e accettò l’iniziativa. Ora siamo alla discussione di un’iniziativa popolare.

Il testo proposto corrisponde al testo introdotto nella Costituzione del Canton Ticino, dopo votazione popolare. La legge di applicazione è entrata in vigore negli scorsi anni e, al di là di episodi sporadici provocatori da parte di personaggi in manco di pubblicità, che hanno fatto parlare di sé, inneggiando alla violazione della legge, non ci sono stati grandi difficoltà e tutto sembra procedere per il meglio.

Persino il turismo ticinese, che aveva paventato lo spettro della diminuzione dei turisti dal Medio-oriente, si è dovuto ricredere. I turisti provenienti da questa parte del mondo sono aumentati e tutti hanno rispettato questo divieto. Le contravvenzioni fatte sono state poche e si è preferito informare invece che reprimere, ricevendo in questo caso risposte positive. E’ una dimostrazione di rispetto per i nostri costumi, per le nostre leggi, che da noi, invece spesso non succede.

Il nostro consigliere di stato Norman Gobbi ha persino dichiarato che “i turisti arabi si sono dimostrati più intelligenti della sinistra che combatte queste proposte”.

Crediamo sia arrivato il momento di agire su questo tema. Ci si lamenta sempre che la politica arriva dopo a proporre delle soluzioni, quando i buoi sono già fuori dalla stalla, mentre in questo caso possiamo lavorare d’anticipo: e non è poco.

Non si tratta solo di rispetto dei nostri valori e dei nostri costumi. Si tratta soprattutto di rispetto verso le donne, di non discriminarle e di non accettarne nessuna sottomissione. Di fatto una donna con il viso coperto, che cammina dietro suo marito, non è una visione che appartiene alla nostra civiltà. Tanto vale essere scese in piazza a manifestare quando poi non si riesce a condividere un principio fondamentale di libertà e di rispetto. E’ la dimostrazione – purtroppo – che il tema delle donne viene politicizzato solo quando conviene alla sinistra e che quando si tratta di difenderle davvero, sparisce dietro il “politically correct”.

Se finiremo tutte sotto un burka, sapremo chi ringraziare.

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