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UCRAINALe tante scadenze (mancate) della guerra in Ucraina

08.06.22 - 13:40
Dalla vittoria «in tre giorni» alla suggestione attorno al 9 maggio, Giornata della Vittoria. Le deadline del conflitto
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Le tante scadenze (mancate) della guerra in Ucraina
Dalla vittoria «in tre giorni» alla suggestione attorno al 9 maggio, Giornata della Vittoria. Le deadline del conflitto

KIEV - Tutto sta andando secondo i piani. Lo abbiamo letto e sentito dire più e più volte in questi tre mesi e più ormai di guerra in Ucraina, sia dalla voce del presidente russo Vladimir Putin e che da quelle dei fedelissimi che lo seguono nella (verticalissima) catena di comando che avvolge il Palazzo del Cremlino. In realtà, il conflitto in corso sembra aver imboccato la via di una guerra di logoramento a intensità ridotta - se confrontata ai giorni in cui le salve di missili russi solcavano i cieli sopra Kiev - e, tra negoziati a un punto morto e accordi che paiono miraggi, non si vede all'orizzonte la possibilità realistica di tracciare una linea di arrivo. E questo nonostante un lungo avvicendarsi di scadenze. Mai "rispettate" ovviamente. Vediamone alcune.

I tre giorni: la "Blitzkrieg" fallita
La prima, nell'ordine, dal 24 febbraio è stata quella degli ormai famigerati tre giorni con cui Putin immaginava di poter spezzare le resistenze ucraine; confermata sia da alcuni militari russi catturati dalle forze di Kiev che dai vertici ucraini, come la prima viceministra degli Esteri Emine Dzhaparova. Inutile dire che l'Ucraina non ha steso i tappeti rossi per i carri e le centinaia di migliaia di militari che Mosca aveva nei mesi precedenti ammassato a ridosso dei suoi confini. E al contrario, le lunghe settimane - scandite dai reiterati allarmi delle intelligence occidentali e dalle battute in replica del Cremlino; su tutte l'indimenticabile «a che ora inizia la guerra?» che ha anticipato di una decina di giorni la marcia dei carri verso Kiev - che l'esercito russo ha impiegato in "esercitazioni"militari lungo il confine hanno consentito agli ucraini di riscaldare i muscoli della propria resistenza.

«I russi hanno ancora dieci giorni»
Arrivati alla metà del mese di marzo - a fronte delle massicce perdite già subite in quelle poche settimane dalle forze del Cremlino, dei primi effetti delle sanzioni dirette contro Mosca e della mole di forze mobilitate nell'operazione speciale di Putin - il generale Ben Hodges, ex capo delle forze statunitensi in Europa aveva indicato in un'analisi pubblicata dal "Center for European Policy Analysis" che ai russi restavano in linea di massima una decina di giorni di autonomia.

Hodges aveva parlato di «una corsa contro il tempo» e di giorni «decisivi». Perché i russi «stanno esaurendo il tempo, le munizioni e il personale». In parte la profezia si è avverata. Nel senso che alla fine di marzo le forze del Cremlino hanno annunciato il ripiegamento dalla regione di Kiev per concentrare le operazioni nell'est dell'ex repubblica sovietica, in particolare nel Donbass. Da allora sono trascorsi più di due mesi. E quell'offensiva è tuttora viva, anche se a combustione lenta.

La suggestione del 9 maggio
In quella che, oggi, possiamo considerare temporalmente come la prima metà della guerra in Ucraina, si è fatta a lungo strada anche la suggestione - ma in parte anche le ipotesi e un pizzico di speculazioni - del 9 maggio. Un cerchio rosso sul calendario in attesa di quella Giornata della Vittoria che, secondo camaleontiche anticipazioni, ha cambiato più volte veste. Il giorno in cui Putin avrebbe voluto dichiarare vittoria, quello in cui avrebbe annunciato la conquista del Donbass e, infine, il momento in cui l'esercito russo avrebbe svestito i panni dell'operazione speciale per indossare l'uniforme ufficiale della guerra. Niente di tutto ciò. Quella mattina, dalla Piazza Rossa, il presidente russo non dichiarò guerra e non nominò l'Ucraina. Lasciando così intravedere, nel suo non detto, uno spiraglio, per quanto flebile, di speranza a ovest degli Urali.

Il 10 giugno: obiettivo Severodonetsk
L'ultima deadline, non ancora raggiunta, è quella che sarebbe stata fissata per venerdì 10 giugno; quindi fra 48 ore. L'obiettivo in questo caso è più circoscritto: si tratta della città di Severodonetsk, che attraversa una parabola pressoché speculare a quella della massacrata Mariupol. Situata nel Lugansk, è ora il centro nevralgico dell'offensiva di Putin, lo scenario in cui si sta consumando l'ennesima battaglia decisiva. La città è largamente in mani russe, ma proprio come accaduto a Mariupol c'è un ultimo bastione da superare. Un'area industriale, quella dell'Azot, che come era stato per il complesso siderurgico Azovstal è diventata un bunker.

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