Il grido di allarme di Pepita Vera Conforti, coordinatrice del gruppo “Vivere senza violenza”: «Ora basta, anche gli uomini reagiscano». Intanto, in Ticino nasce una nuova importante figura
LUGANO – Ventiquattro donne uccise in un anno, in Svizzera. Più o meno una ogni due settimane. Cifre del 2018 che sembrano confermarsi anche nel 2019. E che nella giornata, quella del 25 novembre, internazionalmente dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne, pongono più di un interrogativo. «Percentualmente – sottolinea Pepita Vera Conforti, coordinatrice del gruppo “Vivere senza violenza” – siamo messi peggio di nazioni come Italia o Grecia. È allarmante».
Sono numeri da incubo. Perché siamo arrivati a questi punti?
Sarebbe facile parlare solo delle situazioni travagliate, in cui magari c’è di mezzo l’alcolismo o la droga. La realtà è che troppi uomini sono ancora legati a un concetto di possesso, di controllo.
Cioè?
Non tollerano che la donna si stia sempre più emancipando. Non sopportano questa metamorfosi. Quindi in un'epoca in cui le donne non sono più concordi con il ruolo che rivestivano in passato, si crea un effetto di violenza.
Chi sono gli autori dei femminicidi?
Spesso persone che le vittime conoscono bene. E in alcuni casi vengono uccisi anche minori, figli della donna.
La violenza sulle donne non si limita alla loro uccisione. C’è purtroppo tanto altro.
Già. In Svizzera si registrano circa 18.500 reati all’anno. Violenza domestica. Lesioni lievi, reati gravi, violenza sessuale e fisica, forme di stalking. Ma poi anche violenza sul posto di lavoro. Con donne molestate o licenziate perché sono incinte. E poi ci sono ancora zone d’ombra, sui matrimoni forzati e sulle mutilazioni, ad esempio.
Da tempo lei porta avanti la campagna “Vivere senza violenza”. Con quale scopo?
Fare in modo che chi si ritrova schiacciata e impaurita, sappia che ci sono delle vie d’uscita. Ma bisogna anche fare in modo che non siano sempre le donne a sostenere certe battaglie. Non è più un problema solo della donna. Anche il maschio faccia la sua parte.
Come concretamente?
Partendo dalle piccole cose. Ad esempio, impedendo che un proprio amico umili la sua compagna in pubblico. E poi segnalando situazioni sospette. Non voltando la faccia dall’altra parte. Non basta più dire “Ma io queste cose non le faccio”.
Da uno a cento, come svizzeri, quanto dobbiamo vergognarci?
Dobbiamo riflettere. La politica può fare di più. E fa piacere che in Ticino ora venga introdotta una nuova figura, quella della coordinatrice istituzionale in ambito di violenza domestica (carica che sarà ricoperta da Chiara Orelli Vassere). È un segnale importante.