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LOCARNODue ticinesi tra molotov e lacrimogeni

28.10.19 - 07:10
Partita per un viaggio in Sudamerica, la coppia si è ritrovata nel bel mezzo di una serie di rivolte. A Santiago del Cile, gli episodi più drammatici
Foto lettore tio/20minuti
Una coppia ticinese racconta le proteste popolari in Cile.
Una coppia ticinese racconta le proteste popolari in Cile.
Due ticinesi tra molotov e lacrimogeni
Partita per un viaggio in Sudamerica, la coppia si è ritrovata nel bel mezzo di una serie di rivolte. A Santiago del Cile, gli episodi più drammatici

SANTIAGO/ LOCARNO – «Hanno dato fuoco alla stazione di polizia e a un supermercato». Cronache dal Cile. A raccontarle è una trentenne del Locarnese in vacanza col compagno nello Stato sudamericano. Santiago, ma pure località della Patagonia come Puerto Natales e Punta Arenas, sono in preda al delirio. Con proteste popolari vibranti contro le autorità politiche. «C’è tanta confusione. Il primo giorno di manifestazioni, nemmeno la gente comune sapeva esattamente cosa stesse succedendo».

Il gas nel ristorante – Un viaggio movimentato, che più movimentato non si può. Il Cile è nella bufera. Il Governo ha aumentato le tariffe del trasporto pubblico. Una goccia che ha fatto traboccare un vaso già stracolmo. Troppe le disuguaglianze strutturali e sociali. «La prima sera, a Punta Arenas, abbiamo parcheggiato l’auto a noleggio in strada. La gente tirava sassi e molotov. E tutti sono scappati dal ristorante in cui ci trovavamo perché era impregnato di gas lacrimogeno. Siamo usciti per spostare l’auto e ci siamo trovati di fronte i militari. Ci hanno lasciati passare. Va detto che stanno gestendo le rivolte in modo molto professionale, senza alcuna violenza non necessaria».

Occhi che bruciano – E pensare che all’inizio, a Santiago, la nostra interlocutrice pensava a una protesta molto più pacifica. «Avevamo visto solo un gruppetto di studenti che faceva rumore con padelle e mestoli all’entrata di una metro. Poi abbiamo cominciato a sentire gli occhi e la gola bruciare. E abbiamo notato che alcuni si coprivano il viso. Non c’era un unico centro per le rivolte e non sapevamo che partivano da tutte le stazioni».

Fuoco per strada – La trentenne locarnese è piuttosto scossa: «C’era moltissima gente per strada e di tanto in tanto un gruppo che scappava. I ristoranti e le botteghe chiudevano le serrande, ma senza allarmarsi troppo. L’aria di tutta la città era impregnata di gas lacrimogeno e fumo. Appiccavano il fuoco a ogni incrocio con l’immondizia. Quando ci hanno detto del palazzo dell’Enel e dei bus bruciati ci siamo resi conto di quanto fosse grave la situazione».

Una situazione al limite – La gente non ce la fa a campare. Troppo alti i costi della vita. Troppo bassi gli stipendi. Sebastian Pinera, presidente cileno, ha recentemente dichiarato guerra contro chi protesta. In sedici regioni del Paese è stato proclamato lo stato d’emergenza. Intanto, gradualmente, bus e treni si fermano. «Non abbiamo paura. Però tutto questo è pazzesco. In grandi e piccole località cilene le proteste pacifiche si alternano a gravi atti di vandalismo. Il movimento non ha dei leader e il Governo non ha nessun interlocutore con cui sedersi a tavolino e cercare di trovare soluzioni», conclude la trentenne.

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