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SVIZZERALa metà delle vittime Covid muore nelle case anziani

11.01.21 - 23:50
Seconda ondata: 2’686 decessi sono avvenuti nelle case di riposo, mentre 2’138 persone sono morte in ospedale
Deposit - foto d'archivio
Fonte 20 Minuten / Lynn Sachs e Leo Hurni
La metà delle vittime Covid muore nelle case anziani
Seconda ondata: 2’686 decessi sono avvenuti nelle case di riposo, mentre 2’138 persone sono morte in ospedale
In Ticino dal 10 ottobre sono 51 le strutture colpite dal coronavirus, 1'230 i residenti contagiati, 71 gli ospedalizzati e 196 i decessi.

BERNA - Finora l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) non aveva fornito dettagli sui “luoghi di morte” delle vittime del Covid-19. Ma il caso di una casa di riposo di Rafz (ZH) ha acceso i riflettori: 11 dei 40 residenti sono deceduti nel giro di due settimane. 20 Minuten ha quindi chiesto a Berna i dati a livello svizzero, che non sono affatto rassicuranti: dall’inizio della seconda ondata della pandemia sono morte più persone nelle case di cura che negli ospedali.

In particolare, 2’686 decessi sono avvenuti nelle case di riposo, mentre 2’138 persone sono morte in ospedale per conseguenze legate al coronavirus. 622 svizzeri sono deceduti altrove o il luogo non è stato specificato. Ci sono settimane in cui in sette giorni il numero di morti nelle case anziani svizzere ha superato le 300 unità. 

L’allarme, nel nostro cantone, era già stato sollevato più volte durante la prima ondata, in particolare dal Movimento per il socialismo (MPS) e dal “caso Sementina”, dove in primavera morirono 21 ospiti su un totale di circa 80. Tanto che il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale a carico del direttore amministrativo, della direttrice sanitaria e di un terzo dipendente con le ipotesi di omicidio colposo e di contravvenzione alla Legge federale sulle epidemie, visto il possibile mancato rispetto delle direttive impartite dalle competenti autorità e dagli uffici statali. L’Associazione dei direttori delle Case per anziani della Svizzera Italiana (ADiCASI) ha quindi deciso di diffondere giornalmente i dati sul coronavirus nelle strutture ticinesi (68, per un totale di 4’692 posti letto). Durante la prima ondata (10 marzo - 4 giugno) il coronavirus è entrato in 26 case anziani e dei 505 residenti contagiati, 38 sono stati ospedalizzati e 151 sono morti. La situazione risulta ancora più grave durante la seconda ondata (dal 10 ottobre a oggi): 52 strutture colpite, 1’285 residenti contagiati, 73 ospedalizzati e 207 decessi.

Il gruppo Senevita - interpellato da 20 Minuten - rileva che il 90% degli anziani che risiedono in case di cure sotto la loro gestione o in altre soluzioni abitative, si rifiuta di andare in ospedale quando viene contagiato dal Covid-19. Nel canton Soletta - come riferito dall’Aargauer Zeitung - l’80% dei morti da Covid risiedeva in una casa di cura.

Numeri che fanno sorgere degli interrogativi, soprattutto sulla protezione dei gruppi a rischio, il controllo dei contagi e l’eventualità di una vaccinazione obbligatoria per il personale che lavora in queste strutture. Per Martin Janssen, professore presso l’Università di Zurigo, se si ampliassero le misure all’interno delle case anziani, non sarebbe necessario “stringere” all’esterno. «Più che chiudere i ristoranti, si dovrebbe inserire l’obbligo di presentare un tampone negativo prima di fare visita a un parente in queste strutture», ha dichiarato a 20 Minuten. Gli fa eco il consigliere nazionale UDC Thomas Matter: «Invece di nuove misure, Berset dovrebbe pensare a fornire un piano di protezione finalmente efficace per le case per anziani e più dosi di vaccini». Il vicepresidente del PLR Philippe Nantermod consiglia che il Consiglio federale «consideri l’opzione dell’obbligo di vaccinazione» per gli operatori sanitari. La consigliera nazionale PS Mattea Meyer non crede nel completo isolamento dei gruppi a rischio: «Non bisogna dimenticare la salute mentale di queste persone». Ma chiede ulteriori misure, accompagnate però parallelamente da aiuti economici.

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