L'head-coach del Davos è finora riuscito a dare degli impulsi positivi alla sua squadra che ha ottenuto ottimi risultati in trasferta: «La direzione è quella giusta, ma siamo solo all'inizio»
DAVOS - Il Davos di Christian Wohlwend è una delle piacevoli sorprese di questo inizio di campionato.
La formazione grigionese ha finora giocato sei partite (11 punti), tutte in trasferta a causa dei lavori in corso alla Vaillant Arena, e ne ha vinte ben quattro. Dubois e compagni disputeranno ancora due match esterni – a Berna (sabato) e a Friborgo (martedì) – dopodiché avranno la grande possibilità di continuare a macinare punti anche davanti ai loro tifosi. «La direzione è quella giusta e sono contento di come si sta comportando il gruppo, ma non bisogna dimenticare che abbiamo giocato soltanto sei partite. Il campionato è ancora lungo», ha analizzato proprio Wohlwend. «Mi auguro che la squadra continui a sfornare un certo tipo di prestazione – soprattutto nel futuro prossimo quando recupereremo i match casalinghi – e se fra due mesi avremo mantenuto lo stesso ritmo, allora sarò davvero soddisfatto».
Ti aspettavi un inizio così positivo? «Sì, perché il Davos è una buona squadra, lo staff ha sempre avuto un atteggiamento positivo e i giocatori si sono dimostrati motivati fin da subito a crescere insieme al progetto. Oltre a questo stiamo lavorando duramente, abbiamo fiducia nei nostri mezzi e ci sosteniamo a vicenda».
Il roster grigionese è composto da tanti giovani che necessitano di essere messi nelle condizioni ideali per emergere. Per questo motivo Wohlwend – visti i suoi trascorsi sulla panchina della U20 svizzera – potrebbe essere proprio l'uomo ideale. «I giocatori sono prima di tutto delle persone e non importa se hanno 19 o 30 anni. Alcuni di loro hanno sicuramente più esperienza di altri, ma alla fine sono tutti degli esseri umani e vogliono essere trattati come tali: con rispetto, amore e riconoscimento».
Wohlwend è cresciuto a St. Moritz – nel Canton Grigioni – a circa 60 km da Davos. Un po' come Luca Cereda ad Ambrì... «Diciamo che il paragone si presta. Quando i ragazzi di montagna tornano sulla loro montagna stanno bene (ride ndr). Davos è molto simile a dove sono cresciuto, per questo motivo il mio inserimento in squadra è stato relativamente semplice. Conosco la zona e l'ambiente, parlo il dialetto del posto e ho la stessa mentalità delle persone che ci vivono. L'uomo giusto dopo Del Curto? Ne riparliamo fra 22 anni e sei campionati vinti».