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Levante, a Lugano come nel caos della sua stanza

CANTONELevante, a Lugano come nel caos della sua stanza

27.02.18 - 06:01
In attesa di vederla esibirsi il prossimo 17 marzo alle 21 al Palacongressi di Lugano, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la giovane cantautrice italiana
FOTO ALAN CHIES
Claudia Lagona, alias Levante, classe 1987.
Claudia Lagona, alias Levante, classe 1987.
Levante, a Lugano come nel caos della sua stanza
In attesa di vederla esibirsi il prossimo 17 marzo alle 21 al Palacongressi di Lugano, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la giovane cantautrice italiana

LUGANO - A quasi un anno dalla realizzazione del suo terzo album, “Nel caos di stanze stupefacenti” (Carosello Records), e dopo una serie di concerti che l'hanno portata sui palchi delle maggiori capitali europee, Levante (all’anagrafe Claudia Lagona) - artefice, come ben sappiamo, di strofe profonde, cariche, nel contempo, di elevate dosi di sarcasmo e ironia - tra pochi giorni tornerà così a esibirsi alle nostre latitudini.

Claudia, da quanto mi sembra di capire, hai un ottimo rapporto con la Svizzera italiana…

«Direi proprio di sì. Anche perché ricordo sempre con piacere lo showcase tenuto nel 2014 negli studi Rsi, così come un concerto al Foce di Lugano di un paio di anni dopo…».

Raccontami di questo nuovo disco, “Nel caos di stanze stupefacenti”... Come è venuto alla luce?

«In realtà “le stanze stupefacenti” nascono da una sola stanza molto caotica, piena di oggetti, disordinata, all’interno della quale ho scelto di raccontare delle storie legate all’ultimo periodo della mia vita. Storie, in ogni caso, non necessariamente vissute tutte in prima persona: mi sono anche affacciata alla finestra, guardandomi attorno e osservando il mondo».

Ora che hai elaborato queste storie in versi, in musica, la stanza è un po’ meno disordinata?

«Ho sviscerato dei sentimenti e degli argomenti, riuscendo, in qualche modo, a rimetterli in ordine… Ho sciolto dei nodi, questo sì, ma rimango  
comunque una ragazza con una vita caotica... Io, in fondo, sto bene così....».

“Gesù Cristo sono io” è uno dei singoli dell’album. Agli occhi di coloro che non hanno ancora ascoltato la canzone, chi si cela dietro al titolo potrebbe risultare un pochino presuntuoso…

«Sapevo benissimo che lasciando un titolo del genere avrei fatto storcere il naso a un sacco di gente. In realtà, ho un grandissimo rispetto per la religione, così come per la figura del Cristo. Ma non avrei potuto affrontare un argomento così delicato e forte come la violenza sulle donne senza gridare… Paragonare il calvario di una donna con quella del Cristo, alla fine, ho ritenuto fosse la scelta migliore...».

Un altro singolo è “Pezzo di me”, che hai registrato in compagnia di Max Gazzè. Se non sbaglio, la gestazione di questo pezzo è stata piuttosto lunga…

«È vero… “Pezzo di me” è un brano che scrissi in inglese nel 2010, quando vivevo a Leeds. Il titolo era “Another Kiss”: i versi ruotavano attorno allo stesso concetto anche se, ovviamente, la versione italiana non è una traduzione diretta. Ciò a cui sono rimasta completamente fedele sono la ritmica e la metrica».

Registrerai anche la versione inglese?

«Non ho ancora pensato a questa cosa, ma potrebbe essere divertente...».

Dal punto di vista musicale, quali le maggiori influenze confluite nell’album?

«Direi gli M83, The Last Shadow Puppets e alcune produzioni, secondo me, senza tempo, come l’opera omnia di Florence and The Machine».

Possiamo definire quindi Florence Welch il tuo maggiore punto di riferimento?

«Sì, direi di sì...».

Rispetto a “Manuale distruzione” (INRI, 2014), il tuo album di esordio, in questi ultimi anni il tuo approccio alla scrittura è cambiato?

«Nell’allestimento delle setlist di questo tour mi sono resa conto proprio di quanto io sia cambiata nella scrittura. E dell’ingenuità che ho perso nel corso del tempo. Ingenuità che un po’, in realtà, mi manca. Diciamo pure che grazie a questo tour, comunque, ho anche potuto fare i conti con la mia crescita: oggi sono senza dubbio più a fuoco su certe cose e più sicura nell’esprimere determinati concetti...».

“Se non ti vedo non esisti” (Rizzoli, 2017) è il tuo primo romanzo. Quando ti sei scoperta scrittrice?

«Devo essere sincera: sono sempre stata più affezionata alla scrittura che alla musica. Scrivevo già da bambina, forse proprio per esprimere subito i miei sentimenti. Calcola che il mio primo tentativo di romanzo - fallito totalmente - risale a quando avevo 22 anni. “Se non ti vedo non esisti”, in ogni caso, ha preso forma nel 2016, dopo avere ricevuto una proposta dalla casa editrice, che si chiedeva se avessi qualcosa di un po’ più lungo di una canzone…».

E dell’esperienza nelle vesti di giudice a “X Factor” che vuoi dirmi? 

«L’esperienza televisiva è stata molto formativa. Mi sono trovata in difficoltà, invece, nel momento in cui ho dovuto stroncare alcuni percorsi…».

Perché i talent piacciono anche a chi fa parte, o ha fatto parte, della scena musicale indipendente? Mi viene in mente tu, così come Morgan e Manuel Agnelli, ma anche lo stesso Piero Pelù…

«Mai avrei immaginato nella vita che potesse arrivarmi una proposta del genere. E devo dire che ho anche riflettuto tanto se fare il giudice o meno. Per rispondere alla tua domanda, ciò che probabilmente convince chi, come noi, ha fatto un certo tipo di percorso è il fatto che puoi portare la tua storia musicale a un pubblico molto più ampio, espandendo, di conseguenza, il tuo raggio d’azione… Tutto qui...».

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