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KENYA"La vita di un africano vale meno di quella di un europeo"

08.04.15 - 06:28
Ci sono vittime del terrorismo “di serie A” e “di serie B”? Anche in Svizzera (Ticino compreso) ci s’interroga sulla mancanza di solidarietà verso quelle del Kenya
"La vita di un africano vale meno di quella di un europeo"
Ci sono vittime del terrorismo “di serie A” e “di serie B”? Anche in Svizzera (Ticino compreso) ci s’interroga sulla mancanza di solidarietà verso quelle del Kenya

NAIROBI/BERNA - Mentre l’attacco a Charlie Hebdo è stato seguito da un’ondata di messaggi di cordoglio con l’hashtag #jesuischarlie e da marce oceaniche guidate dai principali leader mondiali, l’assalto della settimana scorsa all’università di Garissa in Kenya, nel quale sono morti 147 persone, è passato innegabilmente molto più sotto traccia in Occidente. Gli hashtag #JeSuisKenyan e #JeSuisGarissa stentano a decollare e il fragoroso silenzio dei social e dei potenti (spesso limitatisi a comunicati) fa molto discutere in rete. Nelle ultime ore, per tentare di suscitare maggiore solidarietà e vicinanza con le vittime della tragedia, i kenioti si sono persino lanciati in uno sforzo per umanizzarle, condividendo le loro storie e i loro volti sotto l’hashtag #147notjustanumber (“147nonsolounnumero”).

Le vittime del terrorismo islamico africane valgono forse meno di quelle europee? Anche in Svizzera molti pensano che, purtroppo, sia proprio così.

Per Celeste Ugochukwu, presidente del Consiglio della diaspora africana in Svizzera, questo è un cattivo segnale: «Rivela come la vita di un africano sia considerata come meno importante rispetto a quella di un europeo», commenta. La protesta internazionale, lamenta il responsabile, avrebbe dovuto almeno eguagliare quella seguita all’attentato a Charlie Hebdo: «Quando muore un essere umano muore un essere umano, non fa alcuna differenza che succeda in Francia, in America o in Kenya».

I cristiani sono un simbolo dell’Occidente - «In generale in Svizzera ci preoccupiamo di preferenza dei nostri problemi», denuncia Adrian Hartmann, dell’organizzazione umanitaria cristiana Christian Solidarity International. Ciò che accade all’estero, quindi, ci lascia spesso indifferenti: «Se un caso simile avvenisse in un Paese confinante sarebbe abbastanza vicino da farci sentire coinvolti», ipotizza Hartmann, che crede che, se a morire sono invece persone lontane da noi, non ce ne interessiamo molto. Questo atteggiamento determina altresì una scarsa considerazione per la situazione di pericolo in cui versano molti cristiani nel mondo: «Organizzazioni terroristiche come Al Shabab e Boko Haram vedono nei cristiani un simbolo dell’Occidente», argomenta Hartmann, che sottolinea come ciò li renda un obiettivo perfetto di questi gruppi.

«Ci sentiamo molto più vicini ai francesi» - Secondo Ben Jann, sociologo presso l’Università di Berna, «negli attacchi di Parigi le vittime erano innanzitutto dei giornalisti» e la vicenda è stata quindi percepita come un attacco alla libertà di pensiero. «Al contrario – continua Jann –, l’attentato in Kenya è stato percepito prevalentemente come un attacco alla Cristianità». Lo studioso vede però un altro motivo per il quale l’attentato a Charlie Hebdo ci ha commossi di più di quello in Africa: «La popolazione in Kenya ha una cultura completamente diversa e in parte valori diversi» quindi noi ci sentiamo semplicemente meno legati alle persone laggiù. «Ci sentiamo molto più vicini ai francesi – conclude – quindi siamo più coinvolti per gli attacchi a Charlie Hebdo».

Armi dall’Occidente - Di ciò è consapevole anche Ugochukwu, che ricorda però come l’Occidente sia direttamente coinvolto nella violenza in Africa. Le organizzazioni terroristiche, infatti, combattono con delle armi che in qualche momento sono state inviate da un Paese occidentale: «Vedere questi episodi come una faccenda africana con cui l'Occidente non ha nulla a che fare è un grosso errore poiché il terrorismo non conosce confini».

L’Associazione Kenya Ticino: “Il nostro post su Facebook in memoria dei ragazzi della scuola di Garissa ha ricevuto solo 12 like” - Anche all’Associazione Ticino Kenya, che si occupa di progetti di aiuto nel Paese africano, in questi giorni è stata notata una certa mancanza di solidarietà. «Nel nostro piccolo – ci dicono – siamo stupiti che il nostro post su Facebook in memoria dei ragazzi della scuola di Garissa abbia ricevuto solo 12 like, quando altri post molto meno significativi riscuotono decisamente più “successo”»

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