Il telelavoro senza indennità? «Si chiama sfruttamento»

Il Partito comunista chiede la copertura dei costi generati dal lavoro in remoto reso obbligatorio.
Qualche esempio? L'affitto di un locale, l'elettricità e la cartuccia della stampante.
BELLINZONA - Ieri la Confederazione ha deciso un inasprimento dei provvedimenti per contrastare la pandemia. Nello specifico, a partire dal 18 gennaio sarà obbligatorio il telelavoro. Tuttavia vista la durata "limitata" del provvedimento, non si dovrà versare ai lavoratori alcuna indennità per spese come elettricità, affitto, ecc.
Il Partito Comunista considera il telelavoro una forma di impiego «che parcellizza la classe lavoratrice e favorisce forme nuove di precarietà». Può essere dunque accettato solo in situazioni di estrema necessità, come quelle pandemiche. Al di fuori di questa situazione di crisi sanitaria invece occorre frenare questa tendenza: «Il rischio di abusi nelle condizioni di impiego cresce di fronte anche a un controllo sindacale che si farebbe più fragile», mette in guardia il PC.
Il telelavoro non può essere mai slegato da misure sociali a favore degli impiegati, per i comunisti. I quali rivendicano quindi che ai dipendenti costretti a lavorare da casa siano coperti i costi per l’affitto di un locale adibito a stanza da lavoro al domicilio, la connettività internet, la rete telefonica, l’energia elettrica ed altre spese eventuali rese necessarie dall’esecuzione del lavoro (ad es la cartuccia d’inchiostro per la stampante).




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